il Fatto Quotidiano, 22 maggio 2023
Il calcio felice
La festa per lo scudetto, ovviamente a Napoli, e la comunione dei santi. Una settimana fa, su Avvenire, l’economista Leonardo Becchetti ha dedicato una bella analisi al calcio come “culto profano”. Arrivando a scrivere, sulla felicità dei napoletani per il terzo tricolore: “In questo, il calcio è una specie di anticipo di paradiso e surrogato di eternità, se pensiamo che nella visione cristiana il premio della vita eterna è quel comune sentire della comunione dei santi che è gioia condivisa tra tanti esseri umani”.
Poi, però, Becchetti, sulla “felicità sportiva” chiarisce un concetto: “È puerile pregare per far vincere la nostra squadra. Perché si dovrebbe preferire la nostra gioia a quella di chi tifa per la squadra che dobbiamo affrontare?”. Puerile, dunque. Fino a un certo punto, perché secoli di storia stanno lì a dimostrare che Dio è stato invocato con fede di parte per fare guerre e massacri, ma questo è un altro discorso.
Piuttosto proviamo a ribaltare il significato dell’aggettivo puerile, in senso non spregiativo ma fanciullesco, cioè immacolato e senza colpa alcuna. E qui entra in scena un libro appena pubblicato dall’ex ministro Gaetano Quagliariello, a lungo parlamentare del centrodestra e oggi tornato a fare il professore universitario di storia. Il volume s’intitola Scusa papà ma tifo Napoli (Rubbettino, 146 pagine, 15 euro). Come già Paolo Sorrentino con il film È stata la mano di Dio, Quagliariello racconta in che modo il tifo per il Napoli è parte decisiva del suo romanzo di formazione, al punto da aver fondato in seguito il Napoli Club Parlamento e allestito persino un altarino azzurro nel suo ufficio di senatore. Nato a Napoli ma “barese” da quando aveva tre anni, il “romanzo” del piccolo Gaetano inizia a metà dei Sessanta.
Nella stagione 1965-1966, allora, il Napoli è in lotta per lo scudetto e la partita della svolta si gioca la domenica di Pasqua del ’66. Gli azzurri vanno a Vicenza, contro il Lanerossi. Gli autoctoni segnano subito, con l’ex azzurro Vinicio. “All’inizio del secondo tempo ruppi gli indugi. Decisi di scendere in campo in soccorso dei miei eroi, quindi mi inginocchiai davanti alla grande radio e iniziai a pregare”. Quagliariello era dai nonni materni, nel Casertano. “Proprio in quel mentre nel soggiorno entrò mio padre: ‘Gaetano, cosa stai facendo?’. Senza batter ciglio risposi di getto: ‘Prego Gesù che il Napoli pareggi’. (…). Non avevo nemmeno finito la frase che la radio annunziò una nuova interruzione dal Menti. (…). Il Vicenza aveva raddoppiato. (…). Scoppiai a piangere”. Addio scudetto.
Un po’ di lustri dopo, Quagliariello divenne radicale e il rapporto di “amorevole conflittualità” con il papà andava dalla politica al calcio. Il padre infatti era un salernitano che tifava Juve nonché un cattolico amico di Aldo Moro. E quando ancora tentava invano di riportare il figlio a messa, alla fine sbottava: “Tu hai subito un trauma da piccolo! È stato il secondo goal del Vicenza che ti ha traviato”. Chiosa Quagliariello: “Pareva convinto. Non ho mai capito se dicesse sul serio”. Un mistero insoluto. Uno di quei misteri che compongono ciò che l’editore e scrittore serbo Vladimir Dimitrijevic definì il “Vangelo apocrifo secondo la Gamba” (La vita è un pallone rotondo, Adelphi 2000).