il Giornale, 22 maggio 2023
Piccoli jihadisti crescono
Hanno dai 12 ai 16 anni. Consumano la propaganda di Daesh (la sigla dello Stato islamico) in rete come fosse un gioco. Studiano consigli pratici su come combattere e muoversi in un ambiente di guerriglia urbana. E, in alcuni casi, agiscono. È il fenomeno della jihad che flirta con l’adolescenza, che sempre più spesso cresce all’ombra dei banchi di scuola; o, ancor più frequentemente, nella cameretta di ragazzini che con i libri, aule e lavagne si sono stufati di avere a che fare.
C’è il ragazzo italiano di origine algerina fermato a Trieste nel 2018. C’è il 15enne arrestato nel ventesimo arrondissement di Parigi nel 2016 con un altro coetaneo, entrambi legati al teorico dell’Isis Rachid Kassim, che per anni ha lanciato inviti via Telegram a insanguinare l’Occidente colpendo gli infedeli. E c’è soprattutto il caso più emblematico e recente: quello del ragazzino spagnolo che, a 12 anni, si era già immerso nella propaganda di Daesh, per cui a inizio 2023 è stata emessa una condanna che ha aperto un nuovo fronte europeo di lotta al jihadismo, tanto nei tribunali, quanto negli approcci dei Servizi d’intelligence.
Il primo niño condannato a Madrid a febbraio di quest’anno ha creato uno squarcio inedito sulla galassia minorile dell’islam europeo, che già da tempo preoccupa (...)
(...) gli 007: al pari, se non di più, dei pericoli che possono ancora arrivare dal territorio extra-Ue, da quei combattenti che stanziano nel nord-est della Siria, l’ultimo spicchio di Stato islamico sotto il giogo di Daesh, dove secondo un rapporto delle Nazioni Unite il sedicente Is disporrebbe ancora di circa 10mila effettivi, attivi a cavallo della frontiera con l’Irak.
A voler tracciare una mappa del terrorismo jihadista minorile in Europa, la minaccia risulta alta soprattutto in Spagna, con Daesh sempre prolifico di contenuti: non inediti, ma rielaborati nella forma per arrivare a un pubblico più ampio (e sempre più giovane).
Il caso del niño marocchino proveniente da una famiglia disagiata in un sobborgo di Madrid ne è un esempio. Ha dell’incredibile, ma non è affatto isolato. Ad appena 12 anni, il bambino inizia infatti a spulciare materiale dello Stato islamico. Quattro anni dopo, nel giugno 2022, solo al termine di un delicato lavoro d’intelligence, viene arrestato ad Algete, un sobborgo della capitale spagnola, perché ormai considerato pericoloso per la sicurezza del Paese. L’operazione viene ordinata dal Tribunale Centrale per i Minorenni. Ed è la prima di questo genere contro un giovane di appena 16 anni nel frattempo compiuti (dopo anni di indagine).
Tra i video trovati sul suo cellulare, secondo le fonti legali consultate da Abc, ce n’è perfino uno, prodotto dall’apparato propagandistico di lingua spagnola di Daesh, in cui si mette nel mirino il giudice del Tribunale nazionale, José de la Mata: «Morirai con una bomba» con tanto di fotografia-bersaglio. In un altro video in possesso del jihadista-bambino c’è una rivendicazione dell’attentato alla Rambla di Barcellona, in cui si vede il terrorista Al Qurtubi che minaccia altri attacchi in Spagna.
La cosa più inquietante del niño di Algete è che il minore non si è solo limitato a radicalizzarsi sul piano teorico, ma si è pure fatto inviare manuali dai suoi contatti: come fabbricare esplosivi e armi chimiche, informazioni sui composti necessari; quantità e luoghi in cui il posizionamento delle bombe sarebbe stato più efficace. Aveva anche un vademecum dell’Isis sulle condizioni fisiche che un buon jihadista deve avere per essere più letale; consigli pratici su come combattere. E guide con varie dritte su come evitare la sorveglianza e impedire che cellulari e dispositivi elettronici venissero intercettati o spiati.
Quel che è certo, è che oggi più che mai i minori residenti in Europa fanno gola all’Isis, per risvegliare un clima jihadista ormai orfano di una rete internazionale operativa, visibile e organizzata capillarmente. Prova ne sono altre due operazioni, stavolta dello scorso ottobre: una della Policía e l’altra della Guardia Civil, con cui è stata smantellata una cellula che reclutava minori sempre in Spagna, a Melilla e dintorni, per attaccare l’Europa. Sono state sequestrate armi bianche ed è stato arrestato anche un ex militare spagnolo (che aveva già acquistato i biglietti per volare in Siria ed entrare nelle file dello Stato islamico).
LE INDAGINI
La cellula di Melilla ha mostrato come i preferiti degli islamisti odierni siano proprio i più giovani, meglio se minorenni. Perché più difficili da scovare, più protetti dal sistema giudiziario e meno avvezzi a spiattellare i piani perché tenuti alla riservatezza che la voce di Daesh gli ordina dai loro pc, fino a convincerli a considerarsi soldati di Allah e a spingerli a compiere attentati in Europa.
I ragazzini di Melilla erano sottoposti ad addestramento in territorio europeo: nel quartiere di La Cañada, il più povero della città che divide Africa ed Europa. Tre dei 9 membri della cellula erano già stati arrestati e incarcerati due nel 2014 e il terzo nel 2018, i primi per appartenenza a un’organizzazione terroristica e il terzo per indottrinamento. Da lì si è iniziato a scrutare la galassia minorile con maggiore attenzione. Ad affilare le armi – in qualche caso spuntate – della prevenzione. Ed è di fatto partita la nuova guerra delle intelligence Ue ai giovanissimi terroristi in fieri, con scambio di informazioni tra agenzie, e neonate task-force.
SOS FRANCIA
Anche in Francia il fenomeno dilaga. Dal 2015 a oggi sono oltre 100 i minori condannati o incriminati in attesa di giudizio per atti di jihadismo, spiega la Procura nazionale antiterrorismo (Pnat): «Solo un minore di questi non è stato fermato prima che agisse». Fino a un paio di anni fa era considerato tutto sommato un fenomeno gestibile, ma col rientro nel Paese anche di figli della jihad, quei ragazzini nati dalle spose dei terroristi in Siria e in Irak, si sono alzate ulteriormente le antenne.
Nell’Esagono vengono fermati ormai una trentina di minorenni all’anno, sospettati di voler compiere azioni terroristiche di matrice islamica. L’ultimo è stato un adolescente di 14 anni, arrestato nell’Alto Reno e poi incriminato il 6 aprile 2023. Era «in collegamento diretto con sostenitori di Daesh e detentore di svariati prodotti esplosivi» da lui stesso fabbricati. Aveva caricato on line diversi video di propaganda dell’Isis. L’indagine a suo carico è tuttora in corso. Ed è solo l’ultimo di una schiera di «fantasmi» adolescenti, imbevuti d’odio contro l’Occidente, considerati dagli 007 pronti ad agire.
Tra quelli fermati finora in Francia, dal 2012 a oggi, oltre il 60% non era noto all’intelligence, spiega Jean-Charles Brisard, presidente del Centro di analisi del terrorismo (Cat) e consigliere speciale del sindaco di Nizza, già incaricato della prevenzione della radicalizzazione e della lotta al terrorismo in città.
Il sistema di sorveglianza di Stato tiene invece già sotto una nuova maxi-lente d’ingrandimento l’ondata d’accoglienza transalpina dai territori del Daesh: quei 107 figli di jihadisti francesi rimpatriati dalla Siria in tre ondate; a luglio e ottobre 2022, poi a fine gennaio 2023.
Per evitare corto circuiti nel tracciamento di questi ragazzini, perlopiù ancora bambini, Parigi ha inventato uno speciale modus operandi per decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale venerdì 7 aprile 2023: ha istituito una sorta di fascicolo digitale con informazioni sull’assistenza amministrativa, giudiziaria, medica e socio-educativa di questi minori di ritorno da zone di operazioni di gruppi terroristici. L’obiettivo è «garantire la loro protezione e impedirne il coinvolgimento in un processo di delinquenza o radicalizzazione».
Ma serve soprattutto a ridurre le difficoltà di coordinamento e ad evitare che salti il loro tracciamento, per esempio nel caso in cui il minore cambi residenza, con conseguente modifica della competenza territoriale dei servizi coinvolti.
A queste informazioni potranno avere accesso prefetti, procuratori e i funzionari dell’Educazione nazionale. Così la Francia risponderà alle difficoltà incontrate dai consigli dipartimentali per la gestione di altri minorenni – quelli non accompagnati – che in molti casi sono scomparsi dai radar. E proprio alcuni di questi risultano tra i fermati per radicalizzazione.
I CASI SOSPETTI
Fondamentale resta la collaborazione nei diversi ambiti: anche in Italia ci si attrezza, con manuali ad hoc in luoghi fino a qualche anno fa impensabili. Il testo curato dall’Aisi, Prevenzione dell’estremismo violento. Guida all’osservazione dei processi di radicalizzazione, non è ad esempio strutturato per approdare solo in questura, ma anche per aiutare operatori sanitari, scolastici e carcerari. Il volume dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna punta a scovare chi non è ancora passato all’azione, giovani perlopiù; invita a tener d’occhio casi di rapido disadattamento a scuola; a considerare disgrazie o eventi traumatici come fattori di esposizione. E atteggiamenti di improvviso cambiamento delle abitudini, tenendo sott’occhio anche ciò che può covare nella riservatezza dei servizi educativi e sociali. E questo perché soprattutto i minorenni – o presunti tali – coinvolti in inchieste o fermati per terrorismo non erano ancora nei radar dei Servizi.
Secondo gli studi più recenti, il processo di radicalizzazione di un minorenne può durare infatti fino a 4 anni. E a influenzarlo è anche la facilità di manipolazione di soggetti poco istruiti. Se si consolida la tendenza che ha visto ridursi negli ultimi anni il numero complessivo di attentati su suolo europeo dai 15 del 2020 ai 6 del 2021, ai 3 dell’anno scorso l’intelligence mostra anche come il livello della minaccia sia comunque ancora significativo; specie per iniziative estemporanee di attori solitari, privi di legami strutturati con organizzazioni radicali. E una delle zone grigie è proprio la galassia dei minorenni.
La sfida è pure quella di recuperare i bambini arrestati per terrorismo, non solo scongiurare il jihad sui banchi di scuola. Sono ancora aperte le ferite che nell’aprile 2018 videro a Trieste un 15enne di origine algerina, figlio di immigrati islamici, indagato per attività di proselitismo e sostegno all’Isis: frequentava di rado la moschea e aveva linkato su Telegram un video con le istruzioni per creare un ordigno, e si era pure speso per capire come superare un metal detector nascondendo una cintura esplosiva. Era pronto a far saltare la scuola: «Il materiale lo compri al supermercato» scriveva in chat.
Un processo di de-radicalizzazione è stato avviato nell’ambito del suo procedimento penale già in fase di indagini preliminari. Un’innovazione. Il suo percorso ha permesso anche di stabilire, come hanno scritto sulla Rivista italiana di intelligence Gnosis gli psicologi Cristina Caparesi (che ha seguito il caso) e Leonardo Tamborini, che non sembra esserci ragione di credere che «il coinvolgimento di un minorenne nella propaganda terroristica jihadista sia un caso eccezionale», considerata anche «la crescita della popolazione di giovani e giovanissimi immigrati di seconda generazione, particolarmente esposti per motivi religiosi o per la difficile o insoddisfacente integrazione sociale».
Il gioco di «seduzione» del jihad, sapientemente condotto, abita talvolta nella porta accanto. Sul cellulare. O nello schermo piatto di un tablet in cameretta.