Corriere della Sera, 22 maggio 2023
Il disastro del Pnrr spiegato bene
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er gestire i 192 miliardi del Pnrr ci vuole un fisico bestiale! Il piano industriale sottoscritto con la Commissione Ue non permette rallentamenti: le scadenze di rendicontazione sono ogni sei mesi, e solo se hai fatto quello che hai promesso la Commissione paga.
La struttura Draghi nasce con tre livelli di controllo: quella tecnica di Palazzo Chigi, che si interfaccia con quelle del Mef e dei Ministeri. Il punto di contatto con Bruxelles lo tengono Chigi e il Mef. A fine ottobre 2022 cambia il governo, e come è naturale cambiando i ministri c’è un periodo di stallo. Il 10 novembre 2022, Giorgia Meloni conferisce a Raffaele Fitto l’incarico di ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr. La decisione è di accentrare tutto nella nuova «Struttura di missione» in capo a Fitto.
Il Piano è da correggere perché nel corso dell’anno sono aumentati i prezzi dell’energia, è esplosa l’inflazione e ci sono gli inevitabili aggiustamenti in corso d’opera. La Struttura però è una scatola vuota e per diventare operativa ci vuole un decreto, che viene emanato solo il 26 aprile. Intanto cosa succede in questi sei mesi?
Il Piano rallenta
La Segreteria tecnica e l’Ufficio centrale della Ragioneria dello Stato, che danno la tabella di marcia, coordinano e controllano l’avanzamento lavori dei Ministeri, delle Regioni e si interfacciano con la Commissione, procedono. Le strutture tecniche però entrano in un limbo: le persone non sanno se saranno riconfermate, anche perché sul piano della comunicazione il nuovo governo mette le mani avanti. Il ministro Fitto a dicembre davanti alla Commissione Politiche dell’Unione Europea dichiara:«L’obiettivo di spesa per quest’anno non sarà assolutamente raggiunto». Giorgia Meloni il 4 dicembre: «È un dato incontrovertibile che dei 55 obiettivi da centrare entro fine anno a noi ne sono stati lasciati trenta». Informazione scorretta: poche misure richiedevano effettivamente un’accelerazione, che c’è stata. E infatti a fine dicembre il Mef manda puntualmente la rendicontazione a Bruxelles per il pagamento della terza rata, che vale 19 miliardi di euro. Per prassi la Commissione si prende circa 2 mesi di tempo per la verifica.
19 miliardi ancora bloccati
Nel piano di riqualificazione urbana i Comuni di Firenze e Venezia infilano gli stadi. I Ministeri competenti sono Mef e Ministero dell’Interno che avrebbero dovuto aprire i documenti e dire: «Alt, questo non c’entra nulla con la rigenerazione urbana». Non lo hanno fatto, e ovviamente la Commissione quei fondi li depenna. C’è da trattare sul decreto concorrenza: per migliorare le finanze pubbliche, le concessioni dei porti non devono durare 60 anni, ma va rispettato un limite proporzionato all’investimento. C’è da discutere sul teleriscaldamento: i progetti rinnovabili collegati alla rete gas potrebbero essere non ammissibili, pur essendo il bando già prediscusso e pienamente valido. La Corte dei Conti svolge controlli in parallelo che a sua volta generano incomprensioni e ritardi.
Molte di queste questioni non sono gestite bene, anche perché nel frattempo è stato sostituito il capo dello staff tecnico nei Ministeri dei Trasporti, dello Sviluppo Economico e della Transizione ecologica. Solo questi 3 Ministeri gestiscono 90 miliardi e 60 programmi di investimento, che i nuovi arrivati devono studiarsi.
Sta di fatto che fra chiarimenti e aggiustamenti, il tira e molla con Bruxelles va avanti 4 mesi. Ad oggi la rata da 19 miliardi non è ancora sbloccata.
Struttura di missione da riempire
L’atteggiamento della Commissione è diventato più guardingo, anche a causa dei continui annunci sulla volontà di rinegoziare il Piano, che poi non si fa. Arriviamo al 26 aprile, e finalmente vede la luce il decreto che istituisce la Struttura di missione in capo a Fitto. Fuori la Segreteria tecnica e via libera al reclutamento di nuovo personale: 14 dirigenti, 50 funzionari e 20 esperti, da trovare sia dentro la pubblica amministrazione, nelle controllate, partecipate, ma anche nel privato.
I tempi: se vai veloce, per gli apicali ci vogliono circa 30 giorni prima che possano inviare una email alla Commissione. Per i funzionari ragionevolmente 2 mesi fra selezione, conferimento incarico, registrazione contratto, dotazioni (pc e password).
Per gli esperti dipende dove li vai a prendere. Certo lo stipendio non è allettante: 35 mila euro lordi l’anno. Se è un neolaureato è difficile che sia esperto, se il consulente arriva dalle controllate (Eni, Enel) potrebbe essere in conflitto d’interesse. L’entrata a regime della struttura poi dipenderà proprio dai profili dei dirigenti, funzionari ed esperti. Se comprendono le logiche della Commissione, conoscono le politiche pubbliche che stanno nel Pnrr e hanno un inglese fluente, si recupererà il tempo perduto, anche perché la struttura viene oggettivamente rafforzata. In caso contrario sarà inevitabile un ulteriore allungamento dei tempi.
Ad oggi la struttura ha solo il nuovo coordinatore, il magistrato della Corte dei Conti Carlo Alberto Manfredi Selvaggi: supervisionerà il lavoro degli incarichi in essere, che cesseranno con l’arrivo di quelli nuovi. Uomo di fiducia di Fitto, conosce le dinamiche della pubblica amministrazione, ma non è un manager, quindi tutto dipenderà dai soggetti della struttura che sta sotto.
Slitta la rata di giugno
Nel mentre vanno rinegoziate le modifiche relative alle scadenze di giugno, altrimenti non si può rendicontare la prossima rata da 16 miliardi di euro, che include le infrastrutture per la produzione di idrogeno, la sostituzione dei treni a gasolio, le misure per gli asili nido, i decreti attuativi sui tempi della giustizia penale e civile.
Fitto il 26 aprile alla Camera dice che i 4,6 miliardi di appalti per gli asili sono «un obiettivo da rimodulare, impossibile da raggiungere entro il 30 giugno». Se i Comuni non ce la fanno il Piano prevede l’adozione dei poteri sostitutivi, ma in questi mesi nessuno lo ha fatto.
Sull’idrogeno ci sono tanti soldi, ed è vero che al momento la domanda non c’è, ma il Pnrr è un investimento sul futuro, e se si vuole togliere l’idrogeno dai progetti, va sostituito con qualcos’altro di coerente, per esempio i parchi eolici.
Al momento non è ancora iniziata alcuna trattativa ufficiale, vuol dire che non sai quando incasserai i 16 miliardi, ma soprattutto che non hai chiaro in testa cosa vuoi fare. E anche alla rata di dicembre bisogna pensarci adesso: se si intende infatti rinegoziare il piano semestrale bisogna portare a Bruxelles progetti alternativi entro agosto per poter avere un ok a novembre. Diversamente va rispettato il piano che è stato sottoscritto. Il Pnrr è una maratona in continuo adattamento, e se si perde il ritmo non si recupera più.
I danni alla credibilità
Il Piano ci costringe a risanare «malattie» antiche che impediscono al nostro Paese di realizzare opere e riforme in tempi certi. Basti pensare alla riforma del sistema idrico integrato: la legge esiste dal 1994, ma Sicilia e Campania non l’hanno attuata, e questo inibisce l’accesso ai fondi per la tutela delle risorse idriche. Bruxelles ci presta tanti soldi a interessi molto bassi, e 69 miliardi ce li regala, a condizione di spenderli in determinati ambiti, indicare le tappe di un cronoprogramma e di rispettarlo.
Vuol dire fare istruttorie tecniche prima di prendere una decisione politica, ovvero modificare i processi amministrativi. Questo è il tema.
Andare invece in giro per l’Europa a dire che non siamo in grado di spendere i soldi è uno dei più grandi danni alla reputazione e credibilità del Paese, e che rende anche più complicato chiedere poi a Bruxelles aiuti per i migranti e comprensione sul Patto di stabilità.