Domenicale, 21 maggio 2023
Il parco salvato da Antonio Ricci
Non essendo io riuscito a salvare il mondo, con la mia famiglia, abbiamo almeno salvato un parco. Una storia in controtendenza con quasi tutte le storie di Liguria se si pensa che La speculazione edilizia fu pubblicata da Calvino nel 1957.
Una provocazione: non puoi essere ecologista, come io stesso ho fatto in passato, in maniera teorica-stronzettina, pretendendo che a farsene carico siano sempre gli altri. Quando ti tocca devi agire, anche se sai che ti infilerai nei casini fino al collo. Già ricevere un parco in eredità è vissuto da molti come una maledizione, da altri come un sacrificio eroico nel rispetto degli avi, ma andarselo proprio a cercare significa avere una coscienza culturale suprema o più semplicemente dell’incoscienza.
Nel 2006 il complesso di Villa della Pergola di Alassio viene messo all’asta. In piena bolla immobiliare pensate che ghiotta occasione, che boccone prelibato, uno spazio edificabile raggiungibile in dieci minuti dalla spiaggia a piedi. Già si parlava di costruire 42 unità abitative nel parco. Fu così che io e mia moglie, laureati in conservazione dei beni ambientali e culturali, ci mobilitammo per sventare ogni progetto di speculazione. Fu un bagno di sangue, perché all’asta concorsero alcuni dei più importanti gruppi immobiliari italiani.
Anni di restauro e momenti di sconforto: se avessero avuto ragione gli altri? Oltre al lavoro di conservazione si è cercato di recuperare le storie, riallacciare i fili. Alla ricerca di testimonianze abbiamo contattato gli eredi dei McMurdo, i discendenti di Sir Walter Dalrymple, cugino di Virginia Woolf. Abbiamo visitato Castle Malwood, la residenza in patria di Daniel Hanbury. Ci siamo recati nel piccolo cimitero di Minstead, dove sono sepolti Daniel e la moglie Sylvia, curiosamente a pochi metri dalla tomba di Arthur Conan Doyle. Abbiamo intervistato l’autista ultracentenario della mitica “Silver Ghost”, la Rolls-Royce di Daniel. Acquistammo da Christie’s l’archivio della moglie, sepolta ad Alassio, dell’archeologo Arthur Evans. Insieme ad altri documenti, tra cui alcune lettere del musicista Elgar che ad Alassio dedicò l’ouverture In the South, fa parte del piccolo museo allestito nelle ville che attualmente sono diventate un relais e un ristorante stellato nella speranza che possano un domani sostenere i costi di manutenzione del parco.
La resurrezione dei giardini è stata l’opera più titanica, per fortuna potevamo contare sull’“amico geniale” l’architetto e giardiniere Paolo Pejrone che, con studiata sprezzatura, ha fatto nascere le due grandi collezioni bisognose di poca acqua: quella dei glicini che fiorisce in primavera e quella degli agapanti in fiore a giugno e luglio. L’imperativo era condiviso: creare un parco più bello di quello che poteva esser stato ai tempi degli inglesi.
Io non ho particolari competenze, sono più che altro un «botaniste du trottoir» (Baudelaire), pur essendo nato in un paese agricolo come Albenga, in gioventù pensavo che i pomodori li portasse la cicogna. Poi nella mia vita è arrivato il centauro Chirone: Libereso Guglielmi, il “giardiniere di Calvino”.
L’ho incontrato la prima volta più di trent’anni fa a Castelvecchio, sopra Albenga. Quello che mi colpì di lui era la capacità di spiegarti il mondo partendo da una scarpata sulla strada, facendoti scoprire che ogni pianta ha un suo perché di stare lì. A un certo punto, da una fessura nell’asfalto, tira fuori una pianta e me la dà da mangiare, dicendomi: «Senti che sa di liquirizia». Era falso capelvenere. «Ma non è che se lecco direttamente l’asfalto sa anche quello di liquirizia?». Da lì è incominciato il nostro vagabondare per giardini. Fra Mentone e Villa Hanbury, dove spesso andavo la domenica con la mia famiglia, in compagnia di Nico Orengo, che abitava a Mortola. Alle mie figlie, che lo adoravano, Libereso diceva: «Noi camminiamo su questo prato, ma qui c’è già da mangiare per una settimana». Lo accomunava ai bambini la stessa capacità di stupirsi. Aveva un grande fascino perché era una pianta anche lui, con le radici nella terra, la corteccia e la chioma. Disegnava, come per lui ogni bravo botanico doveva sapere fare.
Il nome Libereso, esperantista, glielo aveva dato il padre, anarchico tolstojano, amico di Kropotkin, seguace di Bakunin. Questa vena anarchica mi accomunava a lui. Ascoltavo i suoi racconti, come quando Mario Calvino, padre di Italo, era dovuto partire in America Latina perché aveva dato il suo passaporto a un anarchico russo di passaggio a Sanremo che aveva poi compiuto il fallito attentato allo zar Nicola II. Libereso amava molto Calvino padre con cui aveva lavorato giovanissimo alla Stazione sperimentale mentre mostrava distanza da Italo, che pure lo aveva fatto protagonista del racconto Un pomeriggio, Adamo, perché si riteneva lui il «vero figlio» di Mario. Era rimasto amareggiato che Italo non avesse difeso villa Meridiana.
A Libereso, vegetariano da sempre, stava soprattutto a cuore la ricerca di Mario Calvino (che aveva portato in Italia il pompelmo rosa e l’avocado) sulle piante alimentari. Ce l’aveva con quelli che sostituivano gli avocado con le palme. «Li tolgono perché sporcano le macchine», ma per lui era la macchina che non doveva star lì, non l’albero.
Questo era Libereso. A Villa della Pergola abbiamo piantato pompelmi rosa e avocado.
Forse perché me lo ricorda, il mio fiore preferito è l’Erigeron karvinskianus. Nonostante il nome roboante non è un fiore che quando lo vedi esclami «wow»: è solo una specie di umile margheritina bianca e lilla. Non ha bisogno di niente, ma dà tanto. Mi piace per il suo carattere ribelle. Lo pianti da una parte e lo ritrovi in luoghi che, se ce lo avessi messo tu, non sarebbe mai venuto, tipo sugli scalini di pietra. È sempre spettinato e ha capacità acrobatiche. Ne è nato un cespo in cima alla vaschetta di una fontana in mezzo a un laghetto. Come è arrivato lì? Avio trasportato da una ghiandaia che andava a bere? Sul dorso di una rana salterina?
Anche noi stiamo sconfinando, abbiamo acquisito i terreni attigui con la casa di Carlo Levi che ogni anno faceva un ritratto a Calvino che saliva a trovarlo. Il progetto si chiama L’Orto rampante ed è affidato a Renzo Piano. Sarà tutto bellissimo. Tra l’altro io non sono affatto sicuro che la bellezza salverà il mondo. La mia personale esperienza mi induce a pensare che gli uomini abituati a vivere nella bellezza non siano affatto migliori, anzi. Dostoevskij però era talmente convinto che penso sia giusto dargli altre opportunità.
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Ad Alassio
I Giardini di Villa della Pergola, realizzati a fine Ottocento in una posizione unica sul mare, ospitano la tipica vegetazione mediterranea insieme a piante rare della flora esotica. Dell’importante e accurato restauro dei 22mila metri quadrati dei Giardini si è occupato l’architetto paesaggista Paolo Pejrone, con particolare attenzione al recupero e all’arricchimento delle fioriture, tra le quali spiccano quelle di glicini e di agapanti.