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 2023  maggio 21 Domenica calendario

Verdi e Manzoni

Non sarà esercizio ozioso tornare a Manzoni attraverso lo sguardo d’un simbolo non meno cospicuo nella costruzione ottocentesca dell’identità nazionale: Giuseppe Verdi. Se tra i due artisti non vi fu reale frequentazione, le tangenze, in vertiginoso crescendo, sono sufficientemente significative per meritare attenzione. Coetaneo del padre Carlo, Manzoni era maggiore di Verdi d’una generazione. Con la parola manzoniana il compositore ebbe una frequentazione precoce: a Busseto mise in musica come cantata a voce sola Il cinque maggio, presentata a Milano, e a tre voci dei cori dalle tragedie. Pagine tutte perdute, mentre resta la ben più tarda romanza «Sgombra, o gentil, dall’ansia» dall’Adelchi, scritta a Napoli nel 1858 durante il contrastato affaire d’Un ballo in maschera. Soprattutto, Verdi compulsò I promessi sposi, «non solo il più gran libro dell’epoca nostra, ma uno dei più gran libri che sieno usciti da cervello umano. Io aveva sedici anni, quando lo lessi per la prima volta (1830 ca.: era la Ventisettana n.d.r.). Da quell’epoca, ne ho letto pur molti altri... ma per quel libro, il mio entusiasmo dura ancora eguale, anzi, conoscendo meglio gli uomini, si è fatto maggiore».
Qui sta il punto. L’interesse di Verdi per Manzoni riguarda la condivisione di fondamentali elementi di poetica. Il “vero” che Manzoni individuava nella Lettera al marchese Cesare d’Azeglio sul romanticismo (1823) come soggetto principe dell’arte è l’ideale che Verdi perseguì tutta la vita. Lodato nel quadro Gli Ossessi di Domenico Morelli, trovato carente nella commedia di Achille Torelli Color del Tempo, il vero è perfettamente incarnato dai Promessi sposi: «quello è un libro vero; vero quanto la Verità». La rappresentazione fedele della variopinta topografia del cuore umano, ammirata nel romanzo manzoniano come nei drammi del «barbaro non privo d’ingegno», è la vocazione più autentica del teatro verdiano. Non stupirà dunque che Manzoni e Verdi contino tra le figure forse più determinanti nel traghettare un’Italia ancora profondamente nutrita di cultura classicista verso il romanticismo europeo, di cui proposero al pubblico nazionale sintesi originali e formidabili – I promessi sposi come il Rigoletto – la cui efficacia è ancora intatta.
La frequentazione personale tra i due artisti conta soprattutto l’episodio, sorprendente, del 30 giugno 1868. Manzoni è all’origine della riconciliazione di Verdi con Milano, città chiave della sua vicenda biografica e professionale, da cui si era tenuto lontano per vent’anni. Nel 1867 la moglie Giuseppina Strepponi e Clara Maffei, amica di entrambi gli artisti, organizzano un incontro, di cui Verdi, nel racconto di Giuseppina, apprese con imbarazzo infantile: «non seppi più se dovevo aprir gli sportelli della carrozza per dargli aria, o se dovessi chiuderli, temendo che nel parossismo della sorpresa e della gioia non mi saltasse fuori! È venuto rosso, smorto e sudato; si cavò il cappello, lo stropicciò in modo che per poco non lo ridusse in focaccia... siamo rimasti dieci minuti in un completo silenzio». Il senso di inadeguatezza di un artista al cui catalogo mancava ormai solo una manciata di titoli, se lascia increduli è corroborato da inequivocabili testimonianze dell’epistolario verdiano: «non so se, anche venendo a Milano, avrò il coraggio di presentarmi a Lui... Vi mando una mia fotografia per LUI. M’era venuta l’idea d’accompagnarla con due righe, ma il coraggio m’è mancato, e mi pareva d’altronde una pretensione, che io non posso avere». E ancora: «Davanti a Manzoni mi sento così piccolo (e notate bene che sono orgoglioso quanto Lucifero) che non trovo mai, o quasi mai la parola».
Il coinvolgimento emotivo ora evocato chiarisce il comportamento di Verdi nel 1873. Troppo scosso per prender parte alle esequie del poeta, ne visita la tomba a inizio giugno, ma soprattutto scrive al sindaco di Milano offrendogli una Messa da Requiem, presentando il prezioso omaggio come «bisogno del cuore». Il capolavoro della musica non operistica di Verdi rappresenta al contempo, all’indomani di un’analoga, fallita commemorazione collettiva di Rossini, la celebrazione dell’identità nazionale a un decennio dall’Unità. Coronamento di un progetto culturale che i due artisti avevano perseguito tenacemente, lasciando un segno indelebile sul Paese, ora ne vede i nomi congiunti in una delle pagine sinfonico-corali ancora oggi più popolari su scala planetaria («la più grandiosa creazione musicale del secolo», la si salutò a Vienna già nel 1875), tra gli esempi più memorabili di dialogo a distanza tra artisti dalla visione esistenziale non perfettamente coincidente.
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Domani, per la ricorrenza dei 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni,
alle 19 al Duomo di Milano sarà eseguita
una speciale versione del Requiem di Giuseppe Verdi con l’Orchestra Sinfonica e il Coro Sinfonico di Milano diretti dal Maestro Riccardo Frizza.
Il concerto è anticipato dalla lettura
di alcuni brani de promessi sposi
da parte di Massimilano Finazzer Flory nell’ambito del Maggio manzoniano