Domenicale, 21 maggio 2023
L’Italia bugiarda
Ermanno Cavazzoni è uno dei più importanti scrittori italiani tra fine Novecento e Duemila. Da oltre trent’anni, dal folgorante esordio del Poema dei lunatici (1987), la sua voce ha un tono inconfondibile, non a caso assunto da Fellini nell’ultimo film La voce della luna (1990). Cavazzoni ha fatto della realtà quotidiana un luogo e un tempo di stupori e fantasie, di interrogativi e ribaltamenti esistenziali, di dialoghi tra pianure lune e galassie, con l’utopica curiosità del viaggiatore ariostesco. È sorprendente la capacità di ancorarsi alla realtà mostrandone i lati surreali, comici, satirici, come ha fatto per anni anche dalle pagine di questo giornale. Cavazzoni è inoltre un narratore divertente sia da leggere sia da ascoltare; le sue letture pubbliche sono un coinvolgente e appagante spettacolo di ironia e di intelligenza.
Il gran bugiardo è il romanzo più recente e si colloca nella scia della grande tradizione della satira italiana, dalle Satire di Ariosto, di cui ha curato un’odierna edizione (2021), a quelle poetiche di Parini e Alfieri, a quelle narrative di Svevo Pirandello e Gadda, Bianciardi, Malerba e Celati. Scriveva Ennio Flaiano che «la satira e la caricatura sono il sale di una società».
Il gran bugiardo di Cavazzoni è un’acuta e sarcastica interpretazione dell’Italia attuale, tanto paradossale quanto realistica. A cominciare dalla cornice temporale in cui è inserita la storia, la settimana dal 5 al 12 settembre 2001, quella dell’attacco e del crollo delle Torri Gemelle di New York, tragica sigla di inizio del nuovo millennio. A questo ineludibile evento della grande storia fa da contrappasso la surreale vicenda personale di un bugiardo incallito, che quasi suo malgrado si trova a moltiplicare in maniera esponenziale le proprie bugie creando una serie di farneticanti e mediocri universi paralleli. Grande Storia e minuscole storie come in Boccaccio e in Manzoni; sdoppiamenti di identità come in Mattia Pascal, Vitangelo Moscarda e Zeno Cosini.
Da persona anonima come tante, povero e squattrinato, millantatore di esami universitari mai sostenuti, di una finta laurea comprata a buon mercato, di «esili» e in apparenza innocue bugie «a fin di bene», «il gran bugiardo» si trasforma rapidamente in parecchi personaggi. Egli diviene via via e nello stesso tempo uno scrittore di successo, un direttore d’orchestra, un provvidenziale medico, chiamandosi volta a volta Luc, Nic e Oscar. Il tutto per piacere alle ragazze, la cui attrazione irresistibile lo porta a creare identità fasulle che possano suscitare fascino e ammirazione. L’obiettivo è conquistarle e per questo egli è disposto a cacciarsi nelle situazioni più complicate, sul classico e sempreverde modello della commedia degli equivoci e nell’idea di un’astuta strategia sentimentale («procrastinare, tenerle nell’aspettativa, è la tecnica dei Don Giovanni»). Pur di «non deluderle» e di «non perderle» egli asseconda la propria «inclinazione a mentire in modo così smisurato da non sapere poi come aggiustare le cose». Eppure è proprio «l’enormità della balla» a renderlo incredibilmente credibile. Il gran bugiardo si rivela pertanto uno straordinario equilibrista, in grado di reggersi in modo incerto e rocambolesco eppure vincente sui fragili fili di giorni frenetici e avvincenti, in bilico tra cadute rovinose e inattesi riconoscimenti pubblici e privati.
Il passaggio tra menzogna e verità sovente avviene senza soluzione di continuità. Sempre che esista davvero una differenza. Perché gli capita di essere creduto quando dice colossali bugie e di essere frainteso quando invece dice la pura verità delle cose. Quindi che fare? Come orientarsi in questo mondo così scivoloso e sospettoso? popolato di «sostituti», «intrusi» e «impostori»? In cui la sincerità assoluta viene presa per sottile ironia e la suprema finzione per indiscutibile verità? Ogni volta il gran bugiardo si sente «a un passo da un’altra catastrofe, sul filo del rasoio»: eppure regge, anzi seduce. Quel mondo di finzioni che sembra sempre sul punto di crollare invece resiste e infine per «lo pseudo» Oscar, Luc o Nic «si ricompone» senza distruttive lacerazioni, addirittura con uno sfacciato lieto fine. Il contrasto con il crollo dell’11 settembre 2001 è stridente, offensivo, scandaloso. Il terribile dell’esistenza è che le cose vanno comunque avanti, le vere e le false insieme, le più atroci accanto alle più impudenti e insignificanti, perché «è la natura stessa a curare».
Nell’inquietante e disarmante elogio/denuncia della bugia si riflettono anche le eccezionali potenzialità della letteratura, che è per essenza invenzione e menzogna ma non per questo meno illuminante sulla verità delle cose. Con le proprie ardite falsificazioni il gran bugiardo crea ogni volta una storia estrosa, un’interpretazione della vita da una prospettiva inedita. L’incremento dei punti di vista, siano essi probabili o soltanto immaginabili, non può che arricchire la conoscenza. Nella coscienza di quella sostanziale precarietà e convivenza degli opposti espressa dall’ipotetico romanzo La notte della felicità dello «pseudo» Luc.
Numerosi gli aforismi generati da questa prosa brillante tra il piacere del racconto e quello della riflessione, da «Erano discorsi ipotetici e fantasiosi come sono i discorsi del popolo» a «Il ministero dev’essere uguale a un inferno, solo un po’ rimodernato» (in aperto omaggio ad Augusto Frassineti).