Domenicale, 21 maggio 2023
Una vita di rimpianti
Gelosia, invidia, rimpianto: tre sentimenti che riflettono la storia dell’evoluzione umana, marcata com’è dalla comparazione sociale. Tutti e tre presuppongono la capacità di immaginare mondi possibili, diversi da quelli passati o presenti.
La gelosia ci consuma nel timore immaginario di perdere l’oggetto d’amore. Un amore dubbio e dubbioso, invero, perché se fosse autentico e puro il timore svanirebbe. Shakespeare: È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Si nutre dell’amore e, al contempo, lo avvelena.
L’invidia induce a immaginare una presunta maggiore felicità indossando i panni altrui. Shakespeare: Oh, che cosa amara è guardare la felicità attraverso gli occhi di un altro uomo.
Il rimpianto si nutre del confronto tra il mondo reale, le cose come sono andate, e uno o più mondi ipotetici, dove sarebbero potute andare diversamente grazie a scelte più meditate.
La nostra specie è l’unica a essere fornita di capacità innate di immaginazione che sono benefiche se praticate in dosi moderate. La gelosia può metterci in guardia; l’invidia spingerci all’emulazione; il rimpianto aiutarci a evitare gli stessi errori.
Il film Sliding Doors (1998) narra quello che sarebbe successo alla protagonista, l’attrice Gwyneth Paltrow, se avesse preso o perso la metropolitana. Dopo undici minuti dall’inizio Paltrow si divide in due personaggi, le cui vite scorrono parallele. È una bambina che la fa ritardare e perdere il treno. Solo se la causa del ritardo fosse stata modificabile in quanto sotto il suo controllo, ad esempio un ritardo imputabile a pigrizia, ci sarebbe stato spazio per il rimpianto. Negli altri casi rimpianti e dolori sono inutili: non c’era nulla da fare. E tuttavia non sempre funziona l’impeccabile ragionamento di Shakespeare: quando non c’è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza. Tant’è vero che l’inno più famoso al rifiuto di ogni rimpianto è stato cantato nel 1960 da Edith Piaf non in forza di un ragionamento ma nella speranza del nuovo amore (Non, je ne regrette rien). In altri casi, al contrario, il rimpianto può avere una funzione terapeutica e qui rientra in campo la nozione di controllo.
Nel 1984 pubblicai, insieme a Maria Sonino e a Rino Rumiati, un esperimento, in seguito più volte replicato e modificato, in cui si chiedeva di leggere una storia e, alla fine, di completare una frase che iniziava con: «Se solo…». La storia narrava del ritardo di un casellante che avrebbe dovuto chiudere un passaggio a livello e finiva con un automobilista travolto da un treno. I partecipanti completavano la frase con quella che, secondo loro, era stata la causa del tragico epilogo. C’erano più versioni della storia: se il ritardo del casellante era dovuto al crollo improvviso di un ponte, non c’era nulla da rimpiangere. Al contrario, se fosse stato indolente, allora si sarebbe biasimata l’assenza di puntualità. E se il casellante avesse potuto evitare, magari per una combinazione fortuita, il crollo del ponte? Il succedersi degli eventi può essere dovuto al caso: non sempre è chiaro il confine tra quello che è sotto il nostro controllo e quello che non lo è. La differenza è però cruciale. Su questo crinale incerto si snodano le vicende della vita con i successivi rimpianti, e lo sdoppiamento di Sliding Door che, proprio per la sua indeterminatezza, tiene in sospeso gli spettatori. L’identificazione con la protagonista è immediata, tanto quanto il rivivere mentalmente analoghe possibili biforcazioni del proprio destino.
L’architettura cognitiva del rimpianto è sempre la stessa ma le cose di cui rammaricarsi variano nelle diverse culture, dall’antichità a oggi, perché è cambiato il perimetro di quel che gli umani ritengono che sia sotto il controllo degli umani.
Tutto ciò viene esplorato con finezza nell’ultimo libro di Robert Leahy, direttore dell’Istituto di Terapia Cognitiva di New York. Il titolo originale è appunto If only (Se solo) e l’autore si sofferma in particolare sulle terapie volte a liberarci dai rimpianti. Leahy bilancia saggiamente i consigli del terapeuta con le analisi cognitive dello studioso dei processi di pensiero. Per quanto riguarda il primo aspetto, affiora forse un’illusione illuministica quando si dà per scontato che i suggerimenti, per quanto corretti, siano sufficienti per fugare rimpianti inutili, persino quelli che possono accompagnarci per tutta una vita.
Quello che è probabilmente il più avvincente romanzo sul rimpianto di uno scrittore contemporaneo inizia con la gelosia e l’invidia di una bambina nei confronti della sorella più grande. Di qui una orrenda menzogna che, a sua volta, segnerà la vita della piccola. Diventata una scrittrice di successo, con le sue opere cerca di espiare il peccato originale. Jan McEwan, ci mostra che solo le emozioni, e non il raziocinio, possono modificare altre emozioni. Di qui la domanda finale di Espiazione (Atonement, 2001): «Come può una scrittrice espiare le proprie colpe quando il suo potere assoluto di decidere dei destini altrui la rende simile a Dio? Non esiste nessuno, nessuna entità superiore a cui possa fare appello, per riconciliarsi, per ottenere il perdono. Non c’è nulla al di fuori di lei. È la sua fantasia a sancire i limiti e i termini della storia». La scrittrice inventata da McEwan ha il controllo totale sulle sue narrazioni e così si salva almeno in parte dalla colpa e dal rimpianto. Lo fa restituendo a sua sorella e al suo amante un finale felice, quello che la vita aveva loro negato.