Domenicale, 21 maggio 2023
Storia del paesaggio
Il paesaggio arriva nella lingua italiana con una lettera del 1552 di Tiziano a Filippo d’Asburgo ad accompagnare una Regina di Persia, dipinto di cui non è rimasta traccia. È l’evoluzione linguistica delle pitture di paese o paesi (la più nota è il paesetto, La tempesta, di Giorgione) che raffiguravano un territorio reale o immaginario e che per finalità estetiche mostreranno bellezze bucoliche, panorami romantici, orridi sublimi. Il paesaggio rimane a lungo oggetto della pittura, anche se si diversifica oltre le forme e i colori occupando gli spazi immateriali della soggettività (in Petrarca e poi in tanta filosofia) o quelli oggettivi delle attività umane per cui la vista di un «paese è cosa artificiata, e diversa molto da quella che sarebbe in natura» (Leopardi).
Dalla fine del XVIII secolo e sempre più frequentemente, quando si porrà il tema della tutela e della valorizzazione, verrà considerato, ma non sempre nominato, tra i beni di interesse artistico. Gli scritti di Salvatore Settis sono necessari a seguire un’evoluzione lessicale, culturale e normativa che solo a partire dalla legge Croce del 1922 lo definisce cosa diversa dal «panorama storico artistico». Si avvia allora a essere espressione non solo estetica ma sistemica della realtà naturale, della sua evoluzione storica, della cultura che su di essa è intervenuta e ne è stata improntata. Altre leggi seguiranno: la Bottai del 1939, la Galasso nel 1985, il Codice dei beni culturali e del paesaggio nel 2004. Da una visione riduttivamente estetica si è divenuti attenti all’ecologia, all’economia, al territorio confermando in definitiva quanto era implicito nell’articolo 9 della Costituzione del 1948 che afferma «la Repubblica … tutela il paesaggio» e lo distingue da «il patrimonio storico e artistico». È in rapporto con essi che diventa luogo fisico dell’interazione tra i caratteri della natura, la storia e la cultura dell’uomo che li ha modificati a proprio vantaggio per i bisogni alimentari o di materie prime, per la sicurezza, per i piaceri. Il paesaggio definisce non solo ambiti particolari ma i vasti e diffusi territori dell’agricoltura, unici in Italia per diversità biologica e fisica e per la molteplicità delle vicende storiche. Espressione delle «cento agricolture», è oggetto della Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni, libro giunto a dodici edizioni. Come incipit del primo capitolo è definito «forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale». Aggiorniamo la definizione: se «forma» sembra un giudizio estetico usiamo «struttura» a indicare il mosaico ecologico; al posto di «attività produttive» adoperiamo «servizi ecosistemici» con ciò rifacendoci alla multifunzionalità che adesso il Green Deal europeo invoca.
Soffermiamoci quindi sull’attualità dei due avverbi che rimandano al carattere sistemico che si manifesta con l’effetto delle azioni umane sulla intera biosfera e la cognizione di operare all’interno di un sistema complesso che va oltre le parti che lo compongono. Sereni venne considerato dai geografi dell’accademia scientificamente indisciplinato e la manifestazione della sua multiforme cultura, testimoniata dalla diversità delle fonti di cui si servì, fu intesa come sfoggio di erudizione. In una lettera a Giangiacomo Feltrinelli nel 1956 (il libro era pronto da un anno, fu sottoposto anche ad Einaudi per essere poi pubblicato nel 1961 da Laterza) ne descriveva la struttura e il carattere: ogni paragrafo è accompagnato da una riproduzione d’epoca o contemporanea, «l’esposizione non è appesantita da un apparato erudito… si svolge largamente con citazioni da poeti georgici… è di lettura piacevole… interessante anche come libro da strenna».
Ciò pareva ai suoi colleghi un difetto ed era invece dimostrazione di quel sapere multidisciplinare indispensabile per capire e spiegare un paesaggio. Di ciò si ha conferma nella raccolta di contributi – curata da Carlo Tosco dell’Università di Torino e da Gabriella Bonini, responsabile scientifico della Biblioteca e Archivio dell’Istituto Alcide Cervi – che ne testimoniano l’attualità nei tempi critici di un’agricoltura intensiva major driver dei cambiamenti climatici e dei sistemi tradizionali abbandonati, in un territorio fragile, a frane, incendi e consumo di suolo. La si ritrova ricorrendo allo stesso Sereni quando, nel 1966 al primo congresso di Italia Nostra, affermava che bisogna agire «su tutto il complesso del paesaggio umano del nostro paese… perché l’elemento che può difendere il paesaggio artistico e naturale d’Italia è e sarà sempre l’uomo con la sua presenza organizzata, democratica, attiva; presenza in un paesaggio modellato nei secoli dalle generazioni passate, e che non deve essere distrutto, ma nemmeno staticamente conservato, ma piuttosto deve essere razionalmente curato e modernamente sviluppato per renderlo adatto ad una trasmissione positiva e feconda, alle nuove generazioni».
Parole preziose che precedono la Convenzione Europea per il Paesaggio del 2000 quando affermerà che «svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività economica se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato». Parole che spingono a immaginare, progettare e realizzare nuovi paesaggi per i quali serve confronto multidisciplinare, attività di ricerca e sperimentazione, coraggiose politiche. Paesaggi fondati sui principi dell’agroecologia: scienza correlata all’ecologia ma anche all’economia e al sociale; partecipativa in quanto richiede il coinvolgimento di tutte le parti interessate, from farm to fork, dice la Ue, e una comprensione olistica del sistema alimentare. Riguarda tutto il sistema del cibo: le diete, i modelli di consumo, le politiche locali. Se si ritiene che a salvare il mondo non basterà la bellezza mentre può farlo il paesaggio, con la sua visione sistemica specchio di una civiltà che tiene insieme natura, storia e percezione (vengono alla mente le parole del 1941 di Calamandrei a proposito del paesaggio toscano che ha il «gusto dell’armonia e della gentilezza»), ci si domanda quanto sia stato opportuno modificare l’articolo 9 aggiungendo il comma «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni … disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Un generale plauso ha accompagnato i primi giudizi, soddisfatti che temi importanti abbiano trovato così evidente spazio. Solo alcune voci hanno sollevato dubbi ritenendo che il termine «paesaggio» già esprimesse tutto ciò e anzi che le integrazioni ne depotenziassero, diluendolo nei suoi componenti, il senso sistemico.