il Giornale, 21 maggio 2023
Da tre anni quelli di Moody’s sbagliano le previsioni sul Pil italiano
L’Italia si salva, con sommo sollievo del suo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Moody’s, una delle agenzie di rating più autorevoli, ha lasciato invariato il giudizio sulla capacità del Paese di rimborsare il suo debito. Bene, benissimo, non fosse che è all’ultimo gradino (il Baa3) prima del livello spazzatura. Per giunta con prospettive negative, quindi sull’orlo del declassamento. Ma se è vero che Roma, con il suo maxi debito al 144% del Pil, può anche meritarsi un rating da zona retrocessione, dall’altra l’agenzia con sede a New York è decisamente più cattiva dei colleghi di Fitch e Standard & Poor’s, che valutano entrambi l’Italia con una «tripla B». Vale a dire, due gradini sopra il livello «junk». E se Fitch vede prospettive stabili, S&P azzarda pure un outlook positivo: ossia in odore di promozione.
Per Moody’s il nostro Paese ha una crescita lenta, sta faticando a mettere a terra il Pnrr e per di più subirà l’aumento degli oneri del suo debito a seguito dell’aumento dei tassi Bce. Insomma, un alunno in bilico tra l’insufficienza e la sufficienza stiracchiata. Ma visto che di scuola si parla, quale voto meriterebbe la stessa Moody’s nella capacità di prevedere l’andamento dell’economia italiana? Vedendo la storia degli ultimi tre anni, il voto è ampiamente sotto l’investment grade. A febbraio 2021, infatti, l’agenzia di rating statunitense taglia le stime di crescita del Pil italiano portandole a un +3,7% da un +5,6% previsto in precedenza. Ebbene, quell’anno l’Italia è cresciuta al 6,7%. Un anno fa, ai primi timori di rallentamento economico, nuovo colpo di spugna sul 2022: secondo Moody’s saremmo avanzati solo al 2,3%. Anche in quel caso si sbagliava mica di poco, visto che Roma è cresciuta al 3,7%. Per il 2023, lo scorso novembre, si «gufava» un -1,4%. Per poi ritrattare tre mesi fa un +0,3%. Ma anche stavolta, almeno stando alle stime della Commissione Ue di un +1,2%, Moody’s pare di manica stretta. Ci sarebbe da ridere, non fosse che un declassamento di tale prestigio costerebbe un prezzo caro sui rendimenti dei Btp. E se è vero che tutti sbagliano, in vista della revisione del rating di novembre per lo meno si giudichi l’Italia sulla base di stime un po’ meno fuori fuoco.