La Stampa, 21 maggio 2023
Intervista a Roberto Saviano
«Di fasi complicate ne abbiamo attraversate tante con Massimo, ma ora provo una particolare inquietudine per ciò che accade». Roberto Saviano, 43 anni, sale sul palco dello spazio La Stampa al Salone del libro con il direttore Giannini, che gli pone una serie di domande sull’attualità. Sullo sfondo c’è la protesta verso la ministra Eugenia Roccella: «Le parole sue, di La Russa e Sangiuliano sono vere e proprie provocazioni e quindi la contestazione entra in questa dialettica».
Che situazione stiamo vivendo?
«Con questo nuovo governo sembra scontato che arrivi ai vertici Rai chi come il direttore generale Giampaolo Rossi ha un passato recente da complottista e putinista, come se ci fosse una voglia di vendetta. Non so cosa potrà accadere, ma so che sarò uno dei bersagli. Il Paese si sta trasformando lentamente nell’Ungheria di Orbán. Rossi ha dichiarato che è il suo faro, mentre per lui Putin è il baluardo del globalismo, tutto il complottismo base insomma. Il ministro Lollobrigida è passato per coglione quando ha detto di non sapere cosa fosse la sostituzione etnica, ma in realtà avrebbe dovuto spiegare di parlare come fanno da anni Meloni e Salvini. Ha preferito fare l’ingenuo, eppure in quella frase c’è molto di più: significa credere ai complotti e valutare un Paese in base all’etnia e non alla nascita. Allora bisognerebbe pensare che tutti i terroni abbiano sostituito etnicamente i piemontesi».
Di questo clima lei risente personalmente?
«So che ancora non ce ne si accorge, ma intuisco di essere nel mirino e costituire uno scalpo da portare ai loro elettori. In nessun Paese europeo uno scrittore viene additato sulle prime pagine dei giornali di destra come succede a me».
Subisce anche una serie di processi, facciamo un riepilogo?
«Meloni, Salvini, Sangiuliano... Quest’ultimo mi querelò perché quando divenne direttore del Tg 2 dissi che era un galoppino della destra campana: Landolfi, Bocchino e Cosentino. Una sentenza inaspettata con questo clima politico mi ha appena dato ragione, perché la giudice ha ricordato che la Costituzione permette una critica forte. Ha aggiunto che non condivide il mio uso delle parole, ma che è consentito e che la lottizzazione in Rai esista non lo scopro certo io ed è veritiero, inoltre non l’ho danneggiato perché poi è diventato ministro».
E gli altri?
«Meloni e Salvini non hanno ritirato le querele nei miei confronti. Mi difenderò, sono pronto. Tutto nasce dall’immagine di un bambino immigrato morto annegato, e io dico “Ma che bastardi!”. Ho usato un’espressione violenta per contrastare la cattiveria, non la dinamica politica. Si può discutere all’infinito di come affrontare un fenomeno epocale come quello migratorio, ma non strumentalizzarlo, parlare di taxi del mare, prendersela con le Ong che salvano vite e sequestrare i pescherecci per impedirlo, come accaduto a Lampedusa. Per me chi si comporta così è un infame e risponderò come sempre delle mie parole».
Si dice che l’Italia venga lasciata sola dall’Ue, alibi o verità?
«È vero, il trattato di Dublino non è mai stato cambiato, anche per volere della Lega, e stabilisce che l’Italia in cambio di una rinegoziazione del debito accolga chi identifica per prima. I Paesi sovranisti ovviamente non intendono rinegoziare nulla per evitare delle quote di migranti. L’Italia dovrebbe vantarsi di salvare vite chiedendo di condividerne gli oneri e invece fa il peggio del peggio. La destra, e pure la sinistra va detto, non è riuscita a cambiare Dublino e ogni sbarco viene usato come propaganda. Anche la Francia tiene un atteggiamento ambiguo: da un lato ci muove una critica reale, ma dall’altro non affronta minimamente il fenomeno».
In Italia vede un rischio democratico?
«Certamente, e so bene che a dirlo si innesca una reazione quasi comica: “Sei al salone, puoi parlare”, ma non è cosi semplice. Succedeva anche con Berlusconi che il volume della protesta venisse abbassato. Per chi alza la voce poi parte la macchina del fango di certi giornali. E male non fare, paura avere: se sei un politico mafioso sai quali sono i tuoi punti deboli da proteggere, mentre se sei una persona onesta potrebbero inventare qualsiasi diffamazione su di te. Ti cancellano la trasmissione, ti portano a processo, fanno capire agli imprenditori che se comprano inserzioni su quel giornale o quel festival il ministro non è contento. Allora se sei forte come il Salone di Torino ce la fai, anche se hanno già messo le mani pure qui, mentre se sei più piccolo come il Festival di Ravello dove comanda De Luca finisce che mi disinvitino da un evento a cui andavo gratuitamente. E così alla fine la propaganda vince perché non trova contrasti».
Ciò che succede in Rai riflette questo?
«La destra vuole degli scalpi simbolici, è il caso di Fabio Fazio. Lasceranno solo qualche isola per poter dire che non sono dei censori. Con Fazio la strategia è stata sopraffina: hanno atteso per rinnovargli il contratto, lo hanno logorato, gli hanno fatto capire che non era gradito e alla fine lui se n’è andato. Anche se non ha fatto polemica, è stata un’epurazione».
Meloni peggio di Berlusconi?
«Sì, perché l’opposizione ora è più debole. Berlusconi attaccava un Santoro fortissimo, una Rai 3 ancora di sinistra e giornali più ricchi di oggi. Purtroppo anche la lottizzazione è peggiorata: una volta era verticale mentre oggi è orizzontale, cioè con un direttore dell’informazione controlli tutti i programmi bypassando le singole reti. Ecco perché la situazione attuale mi fa più paura e la mia resistenza passa soprattutto da Instagram, dove spesso mi unisco ad altri, come Michela Murgia, per contrastare certa propaganda sull’invasione dei migranti o sulla famiglia tradizionale».
Alla fine anche Berlusconi è passato e la democrazia è rimasta salda. Ora la vede più a rischio perché ci sono meno anticorpi?
«Esatto e credo che Berlusconi abbia lasciato una traccia molto pesante e drammatica. Ad un certo punto ci siamo abituati ad un tipo di trasmissioni eredità del mondo berlusconiano. Dare spazio ai negazionisti nei talk show non è democratico. Il terrapiattista o l’antisemita non hanno titolo di parlare. Democrazia significa alzare la qualità del dibattito, non abbassarla come hanno voluto Berlusconi o Trump. Se non cerchi la qualità stai solo dando caccia allo share. E l’autorevolezza delle posizioni viene data dallo studio, non da altro. Attenzione che quando i talk show si muovono diversamente costruiscono una dimensione ideologica e sottraggono tempo a noi tutti, perché per esempio sul clima bisogna dibattere sulle soluzioni e non sulla realtà nota e provata. Berlusconi dunque è il padrino di questa destra e la democrazia si potrà salvare dalla democratura solo se lo vorranno i cittadini». —
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