la Repubblica, 21 maggio 2023
Se i grandi assediano la Cina
Il nemico di oggi è la Russia di Putin, ma la vera minaccia, di oggi e ancor più di domani, è la Cina di Xi Jinping. Il comunicato del G7, a poche ore dall’arrivo di Zelensky a Hiroshima, è durissimo nella forma e nella sostanza. Non fa sconti alla Cina, ma vale anche come avvertimento ai Paesi che con Pechino hanno alleanze ambigue o rapporti mascherati, alcuni dei quali sono invitati al summit e oggi parteciperanno a una riunione plenaria proprio con il presidente ucraino: una sorta di faccia a faccia collettivo, una resa dei conti con alcuni capi di Stato o di governo che finora hanno evitato di condannare la Russia per l’invasione.
Il G7 giapponese viene così ad avere una duplice valenza, tutt’altro che scontata dopo che spesso in un recente passato la formula era stata considerata superata dalla Storia, ma anche dalle divisioni che serpeggiavano tra i suoi membri. La prima valenza è che le maggiori potenze industriali a economia di mercato e con istituzioni democratiche vogliono presentare un fronte unito davanti alle grandi sfide di oggi e di domani: la guerra in Ucraina, il confronto tra Stati Uniti e Cina, il cambiamento climatico e, ultima ma non minore per importanza, l’intelligenza artificiale. E segnalare in modo inequivocabile che, come ha detto il padrone di casa, il primo ministro Fumio Kishida, la sicurezza in Europa e quella nell’Indo-Pacifico sono inseparabili.
La seconda è che l’aggressività della Cina di Xi Jinping (e, per altri versi, la sua anguillesca capacità di non dare risposte nitide, come nei confronti della Russia) costituisce una minaccia alla sicurezza economica e militare del mondo, dalla quale i membri del G7 hanno il diritto-dovere di difendersi. Il messaggio è chiaro: noi non vogliamo fare del male a te e impedire il tuo sviluppo economico, né vogliamo escluderti (no al “decoupling”, il disaccoppiamento, sì a un “candid engagement”, un coinvolgimento trasparente). Ma tu non devi far del male a noi e noi dobbiamo proteggerci anche per evitare rischi ai nostri lavoratori e alle nostre industrie (“de-risking”).
L’elenco della malefatte cinesi è lungo e dettagliato e suona come un’intimazione a smetterla con metodi che “distorcono l’economia globale”: maligne pratiche di mercato, coercizione economica, uso di tecnologie avanzate che minacciano la sicurezza nazionale dei membri del G7. A queste scorrettezze economiche vanno aggiunte quelle militari e politiche, dalla militarizzazione del Mar Cinese Meridionale alla destabilizzazione di Taiwan per finire con il mancato rispetto dei diritti civili nella stessa Cina, nel Tibet, nel Xinjian, e dell’autonomia di Hong Kong. E, infine, l’appello a Pechino perché dica una volta per tutte da che parte sta nella guerra in Ucraina e a fare pressioni sulla Russia affinché cessi l’aggressione e ritiri le truppe.
Oltre alla Cina, i destinatari sono anche quei Paesi che all’Onu si sono astenuti sulla risoluzione di condanna della Russia, alcuni dei quali sono stati invitati a Hiroshima (India e Brasile sopra tutti) e oggi si troveranno di fronte proprio a Zelensky, ospite d’onore del vertice. Ma il comunicato del G7 ha una gittata ancora più lunga. Ha nel mirino il vertice dei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), tutti refrattari alle sanzioni contro Mosca e intenzionati ad allargare il “club” ad altri Paesi africani e asiatici. La riunione si terrà a Città del Capo il 2 e 3 giugno. Proprio nel porto dove, secondo una ricostruzione accurata del Financial Times,
ha fatto sosta una nave-cargo russa partita dal Mar Nero per fare il pieno di armi destinate all’esercito di Putin.
Gli intrecci sono complessi e il summit di Hiroshima ha fatto venire al pettine molti nodi. Tra i quali l’adesione dell’Italia, unico tra i membri del G7, alla “Belt and Road Initiative”, la nuova “via della seta” dell’espansionismo cinese nel mondo.
Il governo continua a rinviare l’annullamento, ripetutamente sollecitato dagli Stati Uniti. Ma tra quell’accordo e la firma di Giorgia Meloni sotto il comunicato di ieri c’è una contraddizione in termini. Che va sanata subito.