Nel contesto della psicoanalisi post-freudiana è stato Jean Laplanche a sostenere nella maniera più decisa che la teoria psicoanalitica non ha bisogno di ricorrere ad altri campi del sapere per trovare un fondamento alle proprie tesi; anzi, in questo tentativo non può che inciampare in errori epistemologici, perdendo i confini che garantiscono la specificità e la forza del proprio apparato teorico. Un errore di cui si è reso responsabile lo stesso Freud quando, in alcuni luoghi della sua opera, ha cercato di fornire una legittimazione alla propria scoperta attraverso gli «pseudo fondamenti», così li chiama Laplanche, del meccanicismo, del biologismo e della filogenesi.

Lo psicoanalista e neuropsicologo sudafricano Mark Solms, nel suo  La fonte nascosta Un viaggio alle origini della coscienza (Adelphi, traduzione di Andrea Clarici, pp. 512, € 39,00) sembra incorrere nello stesso errore, con il risultato di fraintendere i concetti psicoanalitici, vittime di un «fuorviamento biologizzante», che ne trasforma radicalmente il contenuto. Lo testimonia in primo luogo l’assimilazione della pulsione freudiana all’istinto biologico, ovvero alle funzioni vitali, adattive, che seguono una regolazione di tipo omeostatico. Niente di più lontano dal Trieb, la pulsione, che sorge invece proprio dal pervertimento dell’istinto biologico, costitutivo nell’essere umano in virtù della condizione di Hilflosigkeit, di impotenza infantile, dunque della necessaria dipendenza del piccolo umano dall’altro che se ne prende cura e, attraverso quest’ultimo, dall’Altro del linguaggio. Del resto basta pensare all’anoressia e alla bulimia per capire come l’istinto biologico della fame e il processo omeostatico che la regola possano essere colonizzati e messi fuori gioco, nel soggetto umano, dalla pulsione orale. Un altro fraintendimento riguarda la nozione di inconscio, che Solms riconduce alla inferenza implicita di Hermann von Helmholtz, ovvero a quell’inconscio cerebrale di cui Marcel Gauchet ha ricostruito la storia e evidenziato, a ragione, la rilevanza, ma che differisce in maniera sostanziale dall’inconscio freudiano. Questo non riguarda infatti l’automatismo delle funzioni cognitive che permettono di minimizzare il dispendio energetico del sistema psichico, bensì il rimosso, ciò che insiste per essere riconosciuto disturbando l’intenzionalità cosciente nell’atto mancato, nel sintomo  e nel sogno.

Il fatto è che l’oggetto del lavoro di Solms è la coscienza primaria, quella che l’animale umano condivide con numerose altre specie viventi e che non implica il linguaggio verbale, laddove la psicoanalisi si occupa invece del parlessere, come lo definisce con un neologismo Jacques Lacan, l’umano in quanto soggetto del e al linguaggio: questi appunti critici riguardano, dunque, soltanto il versante psicoanalitico del libro di Solms, che non è del resto il più cospicuo né il più importante. La fonte nascosta è soprattutto un ambizioso testo neuroscientifico, frutto di ricerche decennali su quello che viene chiamato – «con soggezione», scrive lo scienziato sudafricano – il problema difficile, quello che riguarda l’emergere della coscienza, intesa nella sua forma più elementare come capacità di esperire sensazioni e affetti, rispetto alla quale Solms formula alcune interessanti ipotesi: in primo luogo confuta la teoria corticale e indica invece nella porzione superiore del tronco encefalico la sede neurologica principale di quel «sistema auto-organizzato» che chiamiamo coscienza. Una minima lesione in questa regione cerebrale spegne infatti completamente la coscienza, e dal momento che «la coscienza generata dal tronco encefalico superiore è dotata di un contenuto qualitativo proprio, costituito dagli affetti», ne deriva che gli affetti sono la condizione essenziale per l’emergenza delle funzioni coscienti. Affetti che a loro volta costituiscono una estensione dei basilari processi omeostatici che regolano gli organismi biologici nel tentativo di resistere all’entropia. Tutto riconduce dunque, in ultima analisi, alle leggi della fisica, e infatti Solms – in polemica con Damasio e Nagel, tra gli altri – prende posizione nel dibattito sulla possibilità di studiare l’esperienza soggettiva alla stregua dei fenomeni naturali, affermando che «la coscienza fa parte della natura e può essere studiata matematicamente», una  opinione, del resto, sostenuta anche da Freud. La prospettiva di Solms è satura di implicazioni, tra cui la più notevole è la convinzione che sia possibile, e forse nemmeno troppo difficile, riprodurre la coscienza artificialmente. L’implicazione etica che ne deriva è che i risultati di queste ricerche potrebbero costituire un invito in più, tra i tanti che già avremmo dovuto accogliere, ad «abbandonare il nostro antropocentrismo».