Il Messaggero, 20 maggio 2023
Intervista a Fernando Aramburu
«L’uomo macho, primitivo e in fin dei conti vigliacco che ha ordinato il massacro in Ucraina ha un arsenale nucleare. Non possiamo abbassare la guardia». Firmato Fernando Aramburu, lo scrittore, saggista e poeta basco (classe 1959) che con il suo romanzo Patria ha vinto il premio Strega Europeo, per poi approdare anche sul piccolo schermo, divenendo una serie tv di successo targata Hbo. Aramburu ama stupire il proprio pubblico, accade anche nel suo nuovo romanzo, Figli della favola (Guanda, tr. Bruno Arpaia pp.320 20) – che presenterà domani al Salone internazionale del libro di Torino, dialogando con Mario Calabresi (Sala Azzurra, ore 17,15) – una storia tragicomica e tristemente attuale, seguendo le disavventure di due ragazzi baschi – Asier e Joseba – arruolati nel movimento terroristico dell’Eta. Attraverso le loro storie, l’autore prende di mira la narrazione deviata del mito nazionalista, l’ossessione della forza e l’elogio della lotta armata, puntando il dito contro chi arruola utili idioti per predicare la violenza mediante la propaganda.
Perché ha scritto “Figli della favola”?
«Nell’ottobre 2011, l’Eta (l’organizzazione armata terroristica sciolta nel 2018, il cui scopo era l’indipendenza del popolo basco, ndr) annunciò di voler abbandonare la lotta armata. Ma fu davvero una decisione unanime, accettata da tutti i militanti dell’organizzazione o c’era il rischio di una spaccatura all’interno dell’organizzazione, legittimando dei lupi solitari ad agire?»
Leggendo il suo romanzo si ha la sensazione che la storia sia tristemente destinata a ripetersi. È così?
«Il problema non è tanto che le persone adottino convinzioni forti e si radicalizzino, ma che in virtù di queste convinzioni si considerino autorizzate a fare del male agli altri. Chi aizza al fanatismo trova terreno fertile nella fragilità intellettuale e nella mancanza di esperienza dei giovani».
Mentre parliamo infuria una guerra ai confini dell’Europa. Cosa ne pensa?
«Mi spaventa e mi indigna l’invasione russa, rappresenta un enorme passo indietro di civiltà. Analizzando i fatti, si nota un impulso elementare, primitivo. Poiché sono o mi considero più forte, rubo una parte del territorio del mio vicino, aizzando il popolo in nome di una favola patriottica, con le conseguenze che tutti conosciamo: distruzione, sofferenza e la perdita massiccia di vite umane».
Dopo il successo ottenuto con I rondoni (Guanda, 2021), con questo romanzo torna a parlare di terrorismo e separatismo. La Spagna non ha chiuso i conti con il passato?
«Nient’affatto. È calato il silenzio di stato sul passato della Spagna e sulle vittime del terrorismo che meriterebbero più rispetto. A questo, si aggiunge il desiderio di alcuni di dimenticare, l’ignoranza delle giovani generazioni e le inevitabili manovre elettorali dei partiti. Ma io continuo a sostenere la necessità d’una memoria condivisa depositata in biblioteche, cineteche e musei».
Lei va in controtendenza pungendo i lettori, spingendoli a riaprire i cassetti della memoria, rinnovando il ricordo degli attentati. Oggi, però, la narrativa sembra addomesticata, velata dal politicamente corretto. Cosa ne pensa?
«Il politicamente corretto è come l’acqua versata nel vino. Un romanzo con troppa correttezza politica non sa di nulla. Avrà perso tutta la sua arte e tutta la sua capacità di innovazione e di critica. Non ci farà pensare. Ci cullerà nel conformismo».
Artisticamente parlando, in cosa crede?
«Quando si tratta di creazione letteraria, mi è sempre piaciuto giocare con il fuoco e più di una volta mi sono scottato».
E ha pagato pegno?
«Inevitabilmente. Si possono perdere degli amici, ma allo stesso tempo si vive senza rimpianti di coscienza, sapendo di aver espresso ciò che si voleva o si doveva esprimere».
Diversi autori hanno scelto di cancellarsi dai social network. Lei perché l’ha fatto?
«Era bello potersi confrontare con i lettori ma ogni giorno c’era un cretino di turno, nascosto dietro uno pseudonimo che mi portava via tempo e mi distraeva dal mio lavoro, senza che ne traessi alcun beneficio. Alla fine mi sono cancellato da tutto e, a dire il vero, non me ne sono pentito».
Cosa ne pensa del confronto con l’intelligenza artificiale. Saranno le macchine a scrivere i prossimi bestseller?
«Qualunque sia il grado di civiltà o di barbarie raggiunto dalla nostra specie, continueremo a essere legati alla nostra condizione umana. Non mi interessa se in futuro i romanzi saranno scritti con l’intelligenza artificiale, purché siano buoni romanzi».
Ma fra l’uomo e la macchina, alla fine vincerà chi controllerà la narrazione?
«Nessuno può controllare la storia e il suo evolversi, nessuno può prevedere oggi il giudizio che gli uomini del futuro avranno della nostra epoca. Sempre se si prenderanno la briga di giudicarci».