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 2023  maggio 20 Sabato calendario

Intervista a Mauro e Matteo Corona

L’ uno provoca con istinto da istrione: «Dire “ti amo” non serve a niente». L’altro sussurra quasi timido «a papà io voglio bene». L’uno ostenta una vita spericolata, l’altro si definisce «tranquillo e normale», l’uno ammette di essere «un po’ egoista», l’altro sorride «no, dai, non sei sempre egoista». Mauro e Matteo Corona, 72 anni l’uno, 42 l’altro, hanno lo stesso fisico nervoso, gli stessi occhi scuri e malinconici, l’affetto tra loro è palpabile, eppure non potrebbero essere più diversi. Mauro parla come un fiume in piena, Matteo ascolta attento e dice poche, azzeccate parole. Mauro cerca di continuo la rissa con l’altra metà del cielo, ma pare sottilmente invidioso del rapporto di Matteo con la fidanzata, «la sua debolezza». Mauro si è fatto da sé e porta fiero le sue cicatrici come medaglie al valore, Matteo ha vissuto il sogno del padre di diplomarsi all’Accademia di Belle Arti di Venezia e mette la sua matita educata e piena di talento al servizio delle storie potenti e naif del genitore.
Essere padri e figli è un’arte difficile che a impararla ci vuole una vita, proprio come ad andare in montagna. E forse proprio perché sono abituati a camminare e faticare insieme in silenzio, Mauro e Matteo non hanno avuto bisogno di molte parole per creare a quattro mani – uno il testo e l’altro i disegni – un libro semplice e prezioso, Le cinque porte. È la storia di un nonno che porta i nipoti Igor e Neve, sull’orlo dell’adolescenza, alla scoperta della natura e delle sue stagioni. Nelle camminate al sole e al vento, nell’incontro con gli alberi, le marmotte, le valanghe, il fuoco da campo, si nascondono molti insegnamenti di vita, e non solo per i nipoti.
Come è stato lavorare insieme?
Mauro «Non abbiamo affatto lavorato insieme. Lui i miei libri non li legge neanche»-
Matteo «Dai, non è vero».
Mauro «È vero, è vero. Io gli ho dato una traccia – natura, alberi, stagioni – e lui ha disegnato. D’altronde il suo lavoro è più importante del mio».
Matteo «Ma dai».
Mauro «È così. Far vedere un albero è meglio di descrivere un albero. D’altronde le parole non hanno senso. È come tra uomini e donne, ci si capisce con gli sguardi, con gli occhi, dire ti amo non serve a niente, parlando ci si fraintende solo».
Come donna mi tocca dissentire...
Mauro «Tutte le donne dissentono. È’ come con le tendine e il passaggio della luna».
Prego?
Mauro «Le tendine alle finestre. Le spiego: con la mamma di Matteo abbiamo una baita in una valle. Le finestre si affacciano su un paesaggio bellissimo e di notte si vede la luna. Me lo dica lei, a cosa servono le tendine? Non servono. Ma lei le vuole lo stesso. Io dico no alle tendine, non voglio che mi tolgano il passaggio della luna. D’altronde le donne le ho sempre tradite perché la fedeltà è una follia. Sono un egoista. Chi vuole seguire la sua natura deve essere egoista».
Matteo «Mio padre non è sempre egoista, dai. Alti e bassi».
Il libro è dedicato «ai nonni e ai nipoti del mondo». Più facile essere nonni e nipoti che genitori e figli?
Mauro «Certo, nonno e nipote è un rapporto più istintivo, più naturale, come il rapporto dell’uomo con il cane. Non ci sono aspettative, proiezioni... Il rapporto con i genitori è difficile, sembra che invidino i propri figli. I genitori sono una presenza quasi fastidiosa. Io poi ho avuto dei genitori sciagurati – un padre violento, una madre che ci ha abbandonati – e se non avessi avuto i nonni sarei morto. Li ho perdonati, mi ci sono voluti tanti anni, ma la ferita resta aperta. Anche se vincessi il Nobel non riuscirei a essere felice, certe ferite non si dimenticano».
La sofferenza è inestricabile dal legame genitori figli?
Mauro «I figli sono la cosa più bella che ho fatto, come uomo mi do voto zero, ma come padre ho cercato di essere affettuoso, presente, dare quello che non ho avuto. Ma è inevitabile che i figli provochino sofferenza per il loro stesso esistere, ampliano la possibilità di soffrire, oltre che per te soffri per loro».
Però ampliano anche le gioie...
Mauro «Che sono molte meno dei dolori. Non venite a dirmi alla Benigni che la vita è bella, non è vero. Quando hanno chiesto a Borges se fosse mai stato felice ha risposto “qualche istante”. Ho nel cuore quei genitori che soffrono per i figli. Quando sento certa retorica politica, “fate figli”, mi viene una rabbia... Il mondo si estinguerà perché le donne non vorranno più sopportare la sofferenza che comporta mettere al mondo dei figli. E vorrei dire a tutti i figli: non infierite sui vostri genitori».
Una cosa che normalmente non si perdona ai genitori è quella di predicare bene e razzolare male. Lo fa anche lei?
Mauro «Certo, è inevitabile. Tutti noi sbagliamo ma non possiamo rinunciare a passare il testimone, l’insegnamento è globale non dettagliato. Poi per il resto la mia è stata un’educazione stoica: niente cremina contro le scottatture, bisogna scottarsi».
Oltre all’amore per la montagna vi unisce quello per l’arte. Come lo vivete?
Matteo «È il mio lavoro. Cerco di farlo bene, con cura».
Mauro «Non ho studiato e questo mi pesa. Sono d’accordo con Arrigo Boito, il librettista di Verdi, che era di queste parti. Lui sognava “un’arte eterea / Che forse in cielo ha norma.. piena dell’ideale/che mi fa batter l’ale/ e che seguir non so”. Ecco, seguire l’ideale mi costa enorme fatica e si vede, soprattutto nelle sculture: la mia semplicità non è voluta, è obbligata. Nella scrittura è più facile perché mi affido ai sentimenti. Poi, parliamoci chiaro, la mia è vanità, come diceva Sandor Marai, la letteratura è per l’80% vanità. E parlando di vanità, quello che vorrei davvero è vincere il Premio Strega. Solo per stappare quella bottiglia di orripilante liquore e bermela tutta a golate davanti all’intellighenzia di sinistra».
La vostra stagione preferita?
Matteo «Sono nato ad aprile. Dico la primavera e l’inverno, la primavera perché si ricomincia ad arrampicare, l’inverno perché faccio sci alpinismo».
Mauro «Sono nato ad agosto, ma odio l’estate. Il sole, il caldo, il mare, è roba da donne».
Diciamo che è statisticamente vero.
Mauro «Io amo la primavera, è un integratore per la mia vita. Sento che tutto ricomincia, arriva il cuculo, vedi il fermento della natura».
Tutti a parole amiamo la natura, finché non ci accorgiamo di quanto è crudele. Penso al ragazzo ucciso dall’orsa....
Mauro (Matteo dietro fa sì con la testa) «Mi spiace molto per il ragazzo morto ma che senso ha uccidere l’orsa? Lei seguiva il suo istinto di difendere i piccoli, L’uomo non è il padrone della terra, bisogna condividerla con gli altri esseri viventi. Poi, certo, bisogna conoscere i rischi, ma la vita è fatta di rischi, azzerarli è impossibile. Bisogna accettare che siamo preda del fato e della morte. Torno a citare Borges: “per morire ci vuole solo una condizione: essere vivi"».
E come la mettete con il tempo che passa?
Matteo «Io la prendo filosoficamente. È una di quelle cose che succedono».
Mauro «Io sono sorretto da un entusiasmo di ragazzino. Per il resto la vecchiaia sa che mi piace? I vantaggi sono tanti: puoi dire quello che vuoi, non hai più nulla da dimostrare a nessuno. Temo la morte ma non ho rimpianti, ho sempre vissuto secondo la mia natura, la mia unica cautela è non diventare ridicolo. Per esempio: Milly Carlucci mi chiede da anni di andare a Ballando con le stelle. Ecco quello forse no».
Anche io mi sento di sconsigliarlo... Il vostro rapporto con la visibilità sociale?
Mauro «Io non mi nascondo mai, i talenti non vanno nascosti, è un peccato. Certo, a volte la visibilità mi pesa ma qualcuno deve pur sacrificarsi.... In realtà la visibilità di cui tanti mi accusano è anche una richiesta di aiuto. Il mio lato spaventato dagli altri, dalla società, dal bullismo, l’ho tirato fuori nei libri, nei comportamenti, come difesa. Per Matteo, invece, l’esposizione mediatica è una sofferenza».
Matteo«A me piace vivere nascosto»
Mauro «Lui è come il pino mugo, per l’80 % vive e cresce sottoterra».
La cosa che vi rende più orgogliosi?
Mauro «Sono orgoglioso dei miei quattro figli. Hanno studiato, non fanno sciocchezze sanno tutti andare in montagna...».
Matteo «Io non sono orgoglioso di niente, faccio quello che so fare bene, bon».
Mauro «Non sei neanche un po’ orgoglioso di tuo padre?».
Matteo «Voglio bene a Mauro, non parlerei di orgoglio».
Venite insieme al Salone?
Mauro «Io ci sono. Matteo viene solo se glielo dice la sua fidanzata. La sua fidanzata è la sua debolezza».
Matteo «Dai...» —