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 2023  maggio 20 Sabato calendario

Su Gabriele D’Annunzio restano troppi pregiudizi



Invidiavo a Indro Montanelli la facilità di scrittura. «Scusa, devo fare il fondo di domani». E batteva, senza interruzione, sulla portatile Olivetti. Dopo pochi minuti, ecco il rumore inconfondibile del foglio estratto dal rullo con un gesto secco. Rileggeva, faceva una o due correzioni, forse una virgola, e consegnava per la tipografia: «Scrivo come pisciare», rispondeva ai commenti stupefatti.
Per me, invece, scrivere è una faticosa marcia di avvicinamento al traguardo voluto: la semplicità, la facilità di lettura. Per gli articoli mi occorrono almeno due stesure e, rileggendoli stampati, correggerei ancora questo e quello, deprecandomi. I libri, poi, sono un’estenuante procedura piena di inciampi, deviazioni, incidenti, arretramenti. Prima stesura, seconda, terza, quarta, e sulle bozze un massacro di correzioni, come fosse il testo di un altro.
Finalmente, l’ultimo saggio l’ho scritto «come pisciare» (anche se mi rendo conto che l’immagine non è un buon invito alla lettura: ma il risultato sì, per chi andrà oltre l’apparenza di una parola inelegante).
È un libro inconsueto in tutto, per me, fin dall’origine. Di solito scelgo io l’argomento, invece stavolta l’idea è partita dalla Rizzoli: Massimo Turchetta e Andrea Cane, vecchi amici da quando lavoravamo tutti alla Mondadori. Non c’è stato bisogno di spiegarmi che razza di libro avessero in mente, avevo già in casa i primi due della collana, Berlinguer di Fabrizio Rondolino e Montanelli di Marco Travaglio. Mi erano piaciuti subito quei volumi, da lettore e da ex editore: grande formato, molte foto, caratteri ampi e leggibilissimi, strilli e sommari, come si trattasse di un lungo articolo; la carta emana – all’acquisto e per giorni – un delicato profumo di rose nel camerino di Marilyn Monroe.
Turchetta e Cane volevano un testo su d’Annunzio, e qui sono stato sul punto di dire di no: per ricompensa di averlo resuscitato, quell’uomo mi sta mangiando vivo. Se fino a qualche anno fa ero il signor Guerri, adesso per molti sono «quello di d’Annunzio» o «quello del Vittoriale». E sì che faccio anche altre cose, scrivo altri libri. Per esempio, è enorme la soddisfazione che mi ha dato nel 2022 il mio secondo saggio su Ernesto Buonaiuti. Eretico o santo. Il prete scomunicato che ispira papa Francesco (La Nave di Teseo). Il primo, nel 2001, si intitolava Ernesto Buonaiuti. Eretico o profeta (Mondadori), e risvegliò l’attenzione su quell’uomo martirizzato dalla Chiesa e dallo Stato. Finalmente, il 2 settembre 2022, l’Avvenire (dico l’Avvenire) è uscito con una pagina per riconoscere che, sì, era un profeta, la Chiesa sta andando nella direzione da lui indicata più di un secolo fa. Per il riconoscimento della santità, bisognerà aspettare ancora, ma ci si arriverà.
Insomma, non avevo voglia di scrivere altro su d’Annunzio dopo L’amante guerriero, La mia vita carnale, Disobbedisco (Mondadori). Poi, l’illuminazione: occorreva un ultimo saggio breve – 450.000 battute – e di sintesi, corredato da fotografie che meglio ancora del testo illustrassero la sua vita inimitabile, o meglio la sua vita come opera d’arte. Occorreva dare il colpo di grazia al cumulo di pregiudizi che si è accumulato su di lui nel corso dei decenni. Incredibilmente si è conservata intatta la condanna che la borghesia piccina e provinciale di fine Ottocento diffuse a piene mani per la sua libertà sessuale e l’amore per il lusso, come se noi non rivendicassimo, orgogliosamente, la stessa libertà di sesso e di acquisti. Altro scandalo, il suo passare dalla Destra alla Sinistra, nel 1898, per opporsi alle leggi liberticide che il governo stava per varare, dopo aver fatto sparare a cannonate sui manifestanti che protestavano per l’aumento del prezzo del pane. Come se noi non pretendessimo la libertà di cambiare idea politica.
Infine, l’enorme equivoco sul suo essere fascista, perché accettò da Mussolini il denaro per edificare il Vittoriale degli Italiani. Ma d’Annunzio aveva donato il Vittoriale allo Stato, che lo dichiarò monumento nazionale. Lo Stato dunque investiva su se stesso, e fu uno dei migliori affari che capo del governo abbia fatto. In cambio di una modesta somma di circa 10 milioni di euro, oggi abbiamo il parco più bello d’Italia (premio nel 2012), 3000 metri quadrati coperti contenenti 20.000 meraviglie e 33.000 volumi preziosi, 3 milioni di pezzi d’archivio e un museo che è insieme motore di cultura e di economia.
Pur non essendo quel che oggi si definisce «antifascista», d’Annunzio parlava di «camicie sordide», non nere, di «soperchieria di ossa e muscoli». E risolutiva è la sua opposizione all’alleanza con Hitler, «ridicolo imbianchino coi baffi alla Charlot». Ebbe la fortuna di morire nel marzo 1938, prima che accadesse il peggio, e forse non fu un caso: la bella e giovane altoatesina – poi ricomparsa a Berlino durante la guerra – potrebbe essergli stata messa accanto per finirlo, a 75 anni, con un veleno o con il sesso e la cocaina.
Accettai dunque di scrivere il libro, e velocemente. Avevo tre mesi per la consegna del testo, e ci ho messo meno. Di solito in una prima stesura riesco a stendere da due a cinque pagine al giorno, stavolta sono arrivato fino a venti. Le parole venivano una dietro l’altra, senza inciampi. Non c’è stato bisogno di scaletta, la storia scorreva con naturalezza, anche saltando da un’epoca all’altra, da un tema all’altro, con il gusto – senza pudore – di intromettermi per raccontare i miei rapporti con lui e il Vittoriale. Era il frutto di una lunga conoscenza, come quelle vecchie coppie che sanno bene i discorsi dell’altro, e potrebbero concluderli a metà frase.—