La Stampa, 20 maggio 2023
Intervistaa Javier Cercas
Ci sono tempi che, per Javier Cercas, «non ammettono neutralità». Come quelli di oggi della «terribile guerra in Ucraina», sottolinea, e subito pensa a Dante, che gli ignavi li aveva infilati «nel luogo peggiore». Lo scrittore spagnolo è al Salone del libro di Torino, dove si sente «ormai di casa», e si racconta, tra timori per l’ascesa dell’estrema destra in Europa ed entusiasmo per i nuovi libri, due, a cui sta lavorando. «Io sono innanzitutto un romanziere ma non vivo in una torre d’avorio. Nessuno scrittore lo fa, è un falso cliché. La torre non esiste, è solo un pezzo degli scacchi» sorride. Autore di romanzi e saggi tra cui Soldati di Salamina, Anatomia di un istante e Colpi alla cieca (editi da Guanda), Cercas la realtà la osserva da sempre come narratore, e come intellettuale, o «cittadino» come preferisce definirsi, pensa ci si debba anche schierare.
Ha scritto che questo è il tempo della crisi della democrazia e dell’ascesa dei nazionalpopulismi. E che ancora non si può sapere se la democrazia prevarrà e a quale prezzo. Cosa teme?
«I rischi sono molti. Al crollo dell’Unione Sovietica si era pensato che le democrazie liberali fossero l’unica possibilità, e che fossero irreversibili. Dopo la crisi del 2008 abbiamo visto che tornare indietro si può. Lo vediamo in Polonia e in Ungheria. Ma il populismo si è manifestato in forme diverse anche con la Brexit, in Catalogna, in Francia, in Italia. Anche la guerra in Ucraina, una tragedia che non ammette neutralità, si può leggere come un punto d’arrivo della lotta fra nazionalpopulismo e democrazia».
La scorsa estate in un’intervista a La Stampa ha detto che «non può lasciare indifferenti il fatto che in Italia ci possa essere una capa del governo di estrema destra appoggiata da partiti che hanno avuto aperte simpatie per Putin». Ora che il governo c’è, e appoggia con l’Ue l’Ucraina, cosa pensa?
«Non sono italiano e quindi vedo la situazione da spettatore, da una certa distanza, ma non troppa, perché alla fine siamo tutti europei. E condividiamo cose essenziali come le frontiere o la moneta. Detto questo, visto da fuori credo che quello che sta facendo il governo sia intelligente perché sui temi più sensibili per l’Europa, gli esteri con la guerra in Ucraina o l’economia, fa una politica molto ortodossa, in linea con l’Ue, che gli consente di non avere problemi. La sua guerra culturale la combatte dentro il Paese su temi come la famiglia, l’aborto, l’immigrazione. E questo per me è molto preoccupante. In generale non condivido l’agenda di destra, penso non sia buona per nessun Paese».
Fra poco la Spagna torna a votare. A fine maggio per le comunali e le regionali, in autunno per le politiche. Pensa sia possibile un governo di destra appoggiato dall’ultradestra di Vox?
«È possibile ma penso ancora che possa non essere probabile. Al contrario di quello che succede in Italia, dove la sinistra non ha apparentemente la capacità di unirsi, in Spagna è innegabile che il premier sia riuscito a fare il governo con diverse anime. L’ipotesi di un eventuale consolidamento dell’estrema destra nel mio Paese mi preoccupa ma credo che sia un’opzione ancora evitabile. Si deve evitare quello che è successo in Francia, dove il risultato di isolare l’estrema destra è stato che ora il partito di Marine Le Pen è primo nei sondaggi. L’estrema destra si combatte con le ragioni, con la verità, affrontando temi per loro centrali come l’immigrazione, non sminuendola o demonizzandone forza politica e votanti. Se Le Pen diventasse presidente della Repubblica sarebbe un grandissimo problema. L’ascesa dell’estrema destra, e dell’estrema destra in un Paese come la Francia, è il più grande problema dell’Europa».
Salman Rushdie, ricomparso in video dopo l’attentato della scorsa estate, ha detto che «la libertà di espressione e di pubblicazione non è mai stata così minacciata in Occidente» e che è «allarmante vedere gli editori tentare di censurare il lavoro di persone come Roald Dahl o Ian Fleming per il politicamente corretto». Cosa ne pensa?
«Sono d’accordo. Chi punta a correggere un autore lo fa in nome di un puritanesimo da cui sono irritato. La destra è puritana da sempre, soprattutto negli Stati Uniti, e purtroppo oggi lo è anche una certa sinistra. È un errore».
Parlando dei suoi, di libri, a cosa sta lavorando?
«Uno è un libro molto difficile su un soggetto nuovo per me, non so ancora quando lo finirò. È su un mondo che tutti noi conosciamo ma non in profondità. Un soggetto politico anche se io non sono uno scrittore politico, perché mi interessa la gente. Sarà un romanzo diciamo eterodosso, che volevo scrivere da tempo e ora è il momento giusto. Noi scrittori non siamo come i giornalisti, anche se condividiamo alcuni aspetti. Il giornalista deve scrivere subito, lo scrittore arriva dopo, può aspettare che si sia depositata la polvere, che si possano davvero contare i morti e i feriti».
L’altro libro è un saggio?
«È un esperimento strano. A volte mi sento come un professore pazzo in un laboratorio, un professore che ha paura che tutto esploda. Voglio vederne gli effetti, per me è una cosa inedita. Churchill ha detto che in una persona il coraggio è la virtù essenziale, la base, il fondamento di tutte le altre virtù, e credo che abbia ragione. Come persona mi reputo vigliacco nella media, ma come scrittore non posso esserlo, se lo fossi avrei sbagliato mestiere. Uno scrittore deve rischiare tutto in ogni libro, in ogni pagina, in ogni parola. Se non sperimenta e si limita a imitare se stesso muore».