Robinson, 20 maggio 2023
Agli arcimboldi con Fran Lebowitz
Della serata con Fran Lebowitz, la “più grande scrittrice non scrivente d’America”, che si è tenuta venerdì 5 maggio al teatro Arcimboldi di Milano, è possibile che abbiate già letto qualche altro resoconto in giro: molti commentatori si sono cimentati post-evento nel recensire e raccontare quanto accaduto quella sera, e cioè il primo incontro pubblico in Italia con la più grande umorista vivente. Ma si dà il caso che anche io fossi presente all’evento; e che possa offrirvi un punto di vista originale su tutta la faccenda, cioè il mio.
Per la precisione: fila 5, posto 6. ( Avrei tanto voluto iniziare questo pezzo scrivendo l’intestazione “Dal vostro inviato”; ma la verità è che ero lì per i fatti miei, in quanto ammiratore di vecchia data di Fran Lebowitz, tanto da aver già assistito a un suo incontro pubblico nel 2018 a New York. È stato solo il giorno stesso dell’evento che il magnifico direttore di questo prestigioso inserto, saputi i miei programmi per la serata, mi ha biecamente chiesto di raccontarvela su queste pagine; e io altrettanto biecamente ho accettato, vedendo nei soldi che mi guadagnerò con questo pezzo il modo di rientrare dalle spese sostenute per una notte in hotel – si parla tanto del caro affitti a Milano, ma non abbastanza del caro camera singola in albergo a tre stelle meneghino, problema contro il quale potrei protestare pernottandoanche io in una tenda se non fosse che da quando tutti protestano in questa maniera il prezzo delle canadesi è aumentato del 300%, conviene l’albergo).
Fila 5 posto 6 della platea del teatro Arcimboldi, dicevo: è da lì che ho assistito alla performance di public speaking di Fran Lebowitz di fronte al pubblico milanese ( anzi, italiano: oltre a me c’erano altri non residenti in trasferta “per ascoltare Fran” o per farsi vedere mentre ascoltano Fran); i quali molto probabilmente hanno scoperto dell’esistenza di questa icona soltanto nel 2021, con l’uscita su Netflix del (secondo) documentario a lei dedicato da Martin Scorsese, Pretend Is a City, e che la pandemia con le sue reclusioni domestiche ha promosso meglio di quanto avrebbe fatto qualunque campagna marketing virale – ops!- e al quale ha fatto seguito la pubblicazione in Italia di La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire (Bompiani), che raccoglie gli unici due libri di Fran Lebowitz, Metropolitan Life (1978) eSocial Studies (1981).
Da allora Fran Lebowitz ha smesso di scrivere ( o meglio, di pubblicare: almeno fino al 1994 pare abbia lavorato a un romanzo, rimasto però incompiuto) e si è espressa – nonché guadagnata da vivere – parlando in pubblico, come l’altra sera agli Arcimboldi. Del resto la tradizione degli scrittori americani che tengono conferenze, specie se umoristi, ha radici profonde e prestigiose: Mark Twain era talmente richiesto e abile nell’arte oratoria che non è peregrino sostenere che sia stato persino un antesignano della stand- up comedy. Anche Fran Lebowitz ha molto in comune con la tradizione della stand- up: la sua è una comicità osservazionale – per lo più si ride del giudizio sferzante che lei ha degli altri e delle loro manifestazioni sociali – ma il suo sarcasmo non risparmia nemmeno sé stessa ( nel parlare di ciò che la gente eredita quando muoiono i genitori, «chi una casa in Connecticut, chi un appartamento a Manhattan», ha chiosato dicendo «quando mio padre è morto mi ha lasciato mia madre»).
Ma Fran Lebowitz non è una stand- up comedian; è una scrittrice. Una scrittrice che però ama parlare piuttosto che scrivere. Risultato: ogni domanda che le veniva posta sul palco diventava l’innesco, talvolta il pretesto, per un corsivo, un elzeviro, un aforisma ( «È bello essere bambini quando si è adulti»), un editoriale ( «Non ho paura dell’Intelligenza Artificiale. Ho paura dell’intelligenza umana»), un vero e proprio saggio o un personal issue(come quando ha raccontato di quella volta che durante un volo Roma-Parigi è morto un passeggero, e il suo vicino a disagio ha chiesto di poter cambiare posto, al che Fran Lebowitz si è offerta subito volontaria e quello è stato il miglior viaggio della sua vita, il morto il miglior vicino di posto che abbia mai avuto). Il tutto orale; scritto benissimo anche se a voce. Non so se sia più divertente il fatto che Fran Lebowitz ci detesti o che a noi piaccia essere detestati da lei: so solo che la sua misantropia è saggia ed esilarante, e che noi non facciamo che darle motivo per odiarci, come nella parte finale dello show, quella delle domande dal pubblico( rigorosamente senza microfono per sadico volere dell’autrice-star). In quei 45 minuti il pubblico ha cercato la sua ribalta: in primis mostrando di sapere l’inglese, poi di aver fatto il classico ( una ragazza azzarda una domanda presuntuosissima citando Luigi Pirandello). Ma ogni domanda è oscurata dalla risposta – anche perché è l’unica cosa udibile. Al termine, esclusivissimo after party al ristorante dell’Emporio Armani, dove il sottoscritto è stato invitato evidentemente per errore. Ma era facile imbucarsi: bastava dire di essere uno dei + 7 di Oliviero Toscani – il quale non si è presentato, né si sono palesati i suoi accompagnatori; e almeno due persone che conosco le ho viste entrare così. Povera Fran Lebowitz: negli anni 70 partecipava a New York a feste iconiche in compagnia di gente come Andy Warhol; oggi, a Milano, si ritrova in compagnia mia e di falsi accompagnatori di Oliviero Toscani. Poi dici perché è una misantropa.