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 2023  maggio 20 Sabato calendario

Rileggere Valentino Zeichen


Una delle figure di maggior rilievo nel rinnovamento della poesia italiana attento al reale con grande ironia, viveva in una baracca ai margini di piazza del Popolo. E ha sempre pubblicato, nonostante le difficoltà
Un estro vivace e aperto, una limpida efficacia comunicativa, accanto a un felice senso del paradosso e a un’attenzione sempre attiva per il reale dalla sua dimensione storica a quella della quotidianità. Mi piace riassumere così alcuni tratti essenziali dell’opera di Valentino Zeichen, una delle figure di maggior risalto nel rinnovamento della nostra poesia già all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso.
Classe 1938, all’anagrafe Giuseppe Mario, nato a Fiume, si era trasferito, per l’esodo della gente istriana, con i genitori, prima a Parma e poi a Roma, dove visse fino alla morte, nel 2016. Provvisto di un cognome che sembra prefigurarne la personalità di scrittore (zeichen, parola tedesca, sta per: segno, segnale, simbolo ecc.) esordisce con l’avallo di un grande della poesia del Novecento, Elio Pagliarani, il quale ne coglie subito possibili ascendenze naturali nelle opere di Aldo Palazzeschi e di Guido Gozzano. Era il 1974 e Zeichen pubblicava, appunto con l’avallo di Pagliarani, il suo libro d’esordio, Area di rigore. Netta la sua scelta di uno stile e di una voce antilirica con impronta ironica, come avrebbe poi confermato il successivoRicreazione nel 1979. E a questo punto la fisionomia poetica di Zeichen si poteva già dire ben netta, come, del resto, l’identità speciale del suo personaggio. Sì, perché il nostro si era fatto notare anche in questo senso, per la scelta di un’esistenza che nonpotremmo non definire bohèmienne, visto che si era concesso di vivere, non senza ovvie difficoltà, in una situazione decisamente anti borghese, alloggiando infatti in una baracca, dove rimase fino alla fine della sua vita. Una vera e propria baracca romana a due passi, peraltro, da Piazza del Popolo: e lì i suoi amici avevano ben agio di andare a trovarlo, condividendo la spontaneità di un’esistenza anticonformistica.
Ma la sua notorietà in ambito letterario era divenuta comunque ben salda. Incluso nelle maggiori antologie, non solo generazionali, del tempo, continuava periodicamente e regolarmente a pubblicare. La sorpresa che aveva colto il meglio dei lettori anche più raffinati ai suoi esordi era dovuta alla concretezza elegante del suo procedere, che, per esempio, in un componimento come “Grandi capitani”, gli aveva permesso di rileggere la storia alla luce di un’interpretazione argutamente paradossale e comica dei fatti. Parte in questo testo dicendoci che “I capitani di ventura mossi da appetito ideale / mirarono al bottino di oro e argento”, per passare poi a considerare che, peraltro, “dopo la conquista del Messico il cacao si diffuse molto” e arrivare al “venturo capitano d’industria” che “consolidò il molle cacao in figure della geometria / dei solidi creando il cioccolatino”. Un gioco sottile, se vogliamo esilarante e comunque davvero insolito in un normale percorso poetico.
La vicenda storica è un riferimento notevole e spesso centrale nella poesia di Zeichen. Lo si vede bene inPagine di gloria (1983), dove entrano in gioco eventi bellici, pur nel legame con la vicenda personale, poeticamente reinterpretata, dell’autore, fino poi aGibilterra (1991), opera tra le sue più rilevanti, in cui si muove, con la consueta destrezza ironica, anche su temi di centrale attualità. Passando dunque dalla memoria storica a problemi relativi all’ambiente, facendosi volta a volta nuova figura e personaggio attivo.
Proseguendo, il suo inesauribile gioco molteplice si allarga nelle tematiche e inMetafisica tascabile ( 1997) il poeta spazia dall’amore a una contemporaneità dominata dalla tecnologia. Per esempio: “Attraverso il recinto dello zoo, / occhi indispettiti di lucertola gigante / puntavano l’Elettrotreno TR500 che / appariva e scompariva, secondo il destino. / In 65 milioni di anni, lui, non aveva / mai incrociato questo parente, che avrebbe / potuto indurre il suo sonno di fossile / a un ambizioso scatto evolutivo”. Ed è insomma straordinario, e potremmo dire unico, notare come la sua sensibilità di cronista e artefice, di singolare e imprevedibile testimone in versi del suo esserci nelle mutanti vicende del mondo, riesca a conservare la freschezza dello sguardo introducendo con efficacia elementi vistosamente impoetici di una realtà ai suoi esordi ancora inimmaginabile. Muovendosi con elasticità dal passato a un presente che è già un presagio di futuro.
Tra l’altro Zeichen è anche autorein prosa, e dunque di opere narrative come Tana per tutti (1983) eLa sumera (2015), ma è chiaro che il suo nome si lega indissolubilmente alla geografia poetica maggiore tra secondo Novecento e inizio del nuovo millennio, con presenza anche del rapporto con la sua città, Roma. E questo è decisivo nella raccolta del 2000, Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, dove possiamo leggere versi come questi: “Lungo il Muro Torto / per dove si estende/ l’odierna Villa Borghese / c’era una fossa comune, / cimitero di senza nome. / (…) / Lì da ragazzi / si giocava al calcio / su campetti erbosi / assecondando quei deboli / spiriti sottostanti che / incitavano i nostri piedi / col loro tifo circense”. La pronuncia si era ormai fatta, da tempo, asciutta e secca nella brevità del verso, mentre la narrazione prosastica accendeva il sentimento di un incontro vivo tra passato e presente. Come scrive Giulio Ferroni nel suo saggio introduttivo alla decisiva raccolta uscita in Oscar Mondadori delle Poesie ( 1963- 2014), «sotto le sue recitazioni di frivolezza e i suoi formidabili motti di spirito» si annidavano i tratti di «una saggezza disillusa e disperata». E dunque, come solo accade alle personalità poetiche di autonomo rilievo, possiamo ripercorrere l’opera di Zeichen riassaporandone la varietà degli umori, nel libero gioco antiretorico di una parola e di uno stile di rara e felice eccentricità inventiva.