Robinson, 20 maggio 2023
Biografia di Italo Calvino
Bisogna stare attenti, ormai, con le collezioni di sabbia. Italo Calvino ne aveva vista una a Parigi e gli era piaciuta tanto da indurlo a intitolarle un intero libro. Tuttavia la collezionista che lui immaginava girare per il mondo riempiendo ampolle di sabbia nelle spiagge più remote ora non potrebbe più farlo impunemente. Ci siamo tutti dovuti togliere dalla testa l’idea che basti chinarsi e allungare la mano per far propri sabbia, sassi, conchiglie, magari coralli. È proibito, ci sono severe sanzioni.
Anche Enzo Fileno Carabba colleziona minerali ma lo fa con accortezza: nessun tutore del paesaggio potrà trovare alcunché da ridire. Le pietruzze iridescenti che ha raccolto nel tempo sono le cose che si sanno della vita di Italo Calvino. La nascita a Cuba, il padre agronomo e la madre botanica, il giardiniere Libereso detto Tarzan perché saliva sugli alberi e passava di ramo in ramo, l’amore passionale per l’attrice Elsa de Giorgi, la casa-torre di Parigi e infine le poche e strane frasi dette in qualche momento di ritorno alla coscienza, nelle settimane passate tra l’ischemia e il trapasso, all’ospedale di Siena. L’errore che Carabba si è ben guardato dal commettere sarebbe stato quello di esporre tutti questi materiali, lucidati e ben etichettati, nella teca di un libro biografico, magari un po’ romanzato, in cui avrebbe dovuto dimostrare che tutto era vero e che aveva il diritto di scriverlo, come i biografi sono giustamente tenuti a fare. Seppure ne sia stato tentato (e c’è da dubitarne alquanto), non c’è cascato. Ha infilato tutte le sue pietruzze in un luminoso caleidoscopio su cui ora ci invita a mettere l’occhio e far girare, con le pagine, anche il meccanismo della visione. Nella prima riga di questo libro immaginativo e sornione ha anche dato mostra di rammaricarsene: «Sarei proprio uno di quei lucidi saggisti che ricordano tutto se non fosse che dimentico ogni cosa». Ma è soltanto un addio arguto alle convenzioni.
Come ha proceduto, dunque? Dicono esista una corrente esegetica del tutto minoritaria, anzi clandestina, che sul conto del Barone rampante di Calvino insinua che Cosimo Piovasco di Rondò non sarebbe mai esistito. Sarebbe stato un personaggio immaginato da Biagio, il narratore del libro, molto annoiato dai suoi genitori barbogi, infastidito sino alla nausea dalla tirannica sorella e desideroso di avere un fratello maggiore capace di animare un po’ la scena, a partire dagli alberi in giardino. Qualcuno da ammirare, della cui arditezza sgomentarsi, sulla cui stranezza interrogarsi, nella speranza di esserescelto come assistente personale, complice e confidente. Pur rimandendo a terra, sia inteso. A questa corrente potrebbe essersi ispirato Carabba, già vincitore nel 1991 del Premio Calvino con il suo romanzo d’esordio, Jakob Pesciolini. Il romanzo che ora dedica all’eponimo di quel premio considera libri e episodi della vita di Calvino come conseguenze remote di una infanzia del tutto congetturale, passata in gran parte nel paradisiaco giardino della villa di famiglia a San Remo (all’epoca di Calvino si scriveva staccato). Di questo Italo bimbo, che chiama Italino, Carabba fa il proprio amico immaginario.
Italo Calvino voleva «scomparire come persona» dietro la sua scrittura? È bell’e che servito: al suo posto c’è un fanciullo nella cui anima ribollono passioni che si studia di raffreddare. Cerca di eludere tacitamente l’ossessione vegetale della famiglia, ma poi inventerà un libro arborescente come Il Barone rampante.Confonde le etichette della tassonomica madre, diventerà un maniaco dell’esattezza. Accoglie l’imprinting scientifico famigliare ma si appassionerà alle storie. Coltiverà la passione per la parola a partire dalla frequentazione dei fumetti, che Italino guardava quando non sapeva ancora leggere e quindi si inventava le storie e le battute partendo dalle vignette. Infine sarà il più taciturno produttore e delibatore di parole del mondo.In uno dei cameo del suo libro, Carabba ricorda di quando a New York il cieco Jorge Luis Borges assicurò: «l’ho riconosciuto dal silenzio».
Il mito tiene assieme i termini delle contraddizioni e per renderci la propria immaginazione a proposito di Calvino, Carabba usa i mezzi della favola: onde di mare, scimmie, un pupazzo- totem quasi hoffmanniano che compare e scompare a turbare Italino, vicende di radici sotterraneee di alberi ipnotici. Una favola che riscatta quel famoso “Cinico bimbo va Calvino incolume” dell’epigramma di Franco Fortini. Il bimbo Italino non è cinico e rischia: vuole essere sorpreso dalle onde, dalle radici, dagli oggetti, dal paesaggio scorto sulla strada di San Giovanni – mentre seguendo il passo svelto del padre e comincia ad assorbire sé nel mondo.