Robinson, 20 maggio 2023
Intervista a Go Nagai
«Alabarda spaziale! Maglio perforante! Boomerang elettronici! Lame rotanti! Goldrake avanti!»: per chi era bambino negli anni 80 queste esclamazioni ricordano un mondo magico e mai visto prima, quello dei “robottoni” giapponesi, una novità assoluta per l’Italia, abituata al massimo ai cartoni Disney. Uno dei maggiori artefici di questa rivoluzione che ha cambiato il nostro immaginario è stato Go Nagai, probabilmente il più grande artista giapponese vivente e uno dei più innovativi. Con La scuola senza pudore( 1972) introduce il sesso in un manga destinato ai ragazzi ma in realtà, dietro, c’è un forte atto d’accusa nei confronti dell’irregimentazione della scuola giapponese, con i visionari Mao Dante eDevilman porta nei manga il tema della guerra e della religione con forti connotati visionari e, infine, la creazione dei grandi robot guidati da piloti al loro interno a partire daMazinga Z(1972) che in Italia arriva nel 1980 su Rai 1 per essere quasi subito interrotto per le proteste di politici e genitori che lo ritengono violento e diseducativo.
Oggi tutti hanno cambiato idea e ricordano con nostalgia gli “anime” per dirla alla giapponese, di MazingaZ, Goldrake (in Italia il più famoso) e di Jeeg, grazie alle battaglie dai colori quasi psichedelici e alle sigle ricreate in versione italiana. Tra le più memorabili quelle del maestro Vince Tempera con gli iconici e alquanto bizzarri testi di Luigi Albertelli, vedi quelli diUfo Robot Goldrake: “Si trasforma in un razzo missile/ con circuiti di mille valvole/ tra le stelle sprinta e va/ mangia libri di cibernetica/ insalate di matematica”. O la più drammatica ( perché in questo caso la musica si rifà all’originale giapponese) sigla di Jeeg robot d’acciaio: “Vola e va tra le stelle/ Tu che puoi diventare Jeeg./ Jeeg va, cuore e acciaio,/ Jeeg aà, cuore e acciaio/ Cuore di un ragazzo che/ Senza paura sempre lotterà” dove il testo è una sorta di traduzione dall’originale che sembra riecheggiare il famoso libro Sole e acciaio di Yukio Mishima.
Ben pochi però conoscono i manga da cui glianimesono stati tratti, che, come vedrete, sono molto diversi dalle serie tv e spesso dai toni più adulti. Oggi che i manga sono in crescita esponenziale, tanto che secondo le ultime stime dell’Associazione italiana editori diffuse al Salone di Torino, costituiscono la metà della produzione di fumetti, è importante proporre ai lettori i classici, come le serie robotiche di Go Nagai della nuova collana “Manga Super Robot”. Queste introvabili gemme sono le storie che hanno dato origine a tutto. E per l’occasione siamo riusciti in un’altra impresa impossibile: intervistare il maestro Go Nagai per farci raccontare la sua lunga carriera che ha cambiato il fumetto e l’animazione non solo in Giappone, ma in tutto il mondo.
Come si è avvicinato al mondo del fumetto? C’era già qualcuno che disegnava nella sua famiglia?
«Sin da quando ero bambino sono stato appassionato di manga, entrare a far parte dello staff del Sensei Shotaro Ishinomori come assistente è stato davvero l’inizio di tutto. Nonostante in famiglia nessuno disegnasse professionalmente, tutti i miei fratelli avevano talento nel disegno».
Qual è stata la cosa più importante che ha imparato da lui?
«È stato grazie a questa esperienza che ho imparato come lavora un mangaka professionista. Disegnavo gli sfondi per le opere del sensei (“maestro” in giapponese, ndr) e, allo stesso tempo, potevo imparare come sviluppare un progetto a partire dalla storia, oltre ai molti altri aspetti di questa professione».
E cosa dice dell’altro grande maestro, Osamu Tezuka? Il suo Astroboy l’ha in qualche modo influenzata nell’elaborazione dei suoi robot?
«Aver avuto la possibilità di leggere Astroboy da ragazzo è proprio ciò che mi ha fatto appassionare così tanto ai robot. Penso proprio che se Tetsuwan Atom (il nome giapponese diAstroboy, ndr) non fosse stato parte della mia vita, nemmeno Mazinger Zavrebbe mai visto la luce».
Credo che lei abbia un legame molto importante con l’Italia per almeno due motivi: il primo è il grande successo avuto nel nostro Paese con le sue serie robotiche, tanto da poterlo definire un vero e proprio fenomeno di costume. Avrebbe mai pensato che il suo immaginario avrebbe modellato anche quello di un paese così lontano? Cosa ha colpito gli italiani secondo lei?
«Il successo in Italia rimane per me una grande sorpresa, e mi rende davvero felice. Intuitivamente, ho l’impressione che gli italiani abbiano un “sentire” molto vicino a quello dei giapponesi, e per questo sento l’Italia molto vicina».
Il secondo motivo della vicinanza delle sue opere all’Italia si deve forse al fatto che molto del suo immaginario, chiamiamolo “demoniaco”, è legato alla Divina Commedia di Dante Alighieri. So che da piccolo ne aveva una versione per bambini in casa...
La sua trasposizione a fumetti è un vero capolavoro: ci ha messo molto tempo per realizzarla?
«È vero. Ho avuto modo di leggere bene la Divina Commedia mentre ne realizzavo il manga. Ho escluso alcuni passaggi che temevo sarebbero stati difficili da comprendere per un lettore moderno e, nel trasformare la storia in immagini, ho cercato di renderle il più interessanti possibile. La mia idea era quella di prendere come modello l’arte di Gustave Doré ma provando a dare al disegno un dinamismo da film d’azione tipico dei manga. Al tempo stesso ho cercato di avvicinarmi il più possibile al suo stileestremamente dettagliato. Per questo motivo la Divina Commedia è stata un’opera per la quale ho impiegato molto più tempo a disegnare rispetto a molti altri miei lavori».
Lei ha intitolato una sua opera “Mao Dante” che credo dovrebbe significare “Dante il demone”.
Cosa l’ha colpita nell’opera di Dante? E perché l’ha fatto diventare un demone?
«In realtà ho usato a modello per il demone in questione il Lucifero della Divina Commedia. La ragione per cui gli ho dato il nome Dante è legata al fatto che volevo accreditare questo personaggio all’opera scritta da Dante Alighieri rendendogli omaggio. Non era assolutamente mia intenzione paragonare le due figure».
Che differenza c’è tra i diavoli occidentali e gli “oni”, i demoni giapponesi?
«Ci sono moltissimi tipi dioni nella cultura giapponese, al punto che mi sarebbe difficile descriverli in poche parole. Molti oni si generano da sentimenti negativi, come il desiderio di vendetta: la rabbia degli esseri umani prende forma dando vita a unoni,e proprio per questo non posso dire che essi rappresentino semplicemente il “male”, in modo elementare. Al contrario, ho l’impressione che i demoni occidentali rappresentino più il concetto di “male” espresso dal Cristianesimo».
Lei è interessato all’esoterismo? Penso alla scena del sabba che permette ad Akira Fudo di diventare Devilman ma anche alla setta satanica di “Mao Dante” e alle teorie gnostiche per cui Dio sarebbe in realtà un demiurgo cattivo…«Mi sono interessato alla caccia alle streghe in Europa, e ho scoperto quanto un eccessivo potere nelle mani della religione possa diventare spaventoso. L’arte di Goya ha inoltre contribuito molto al mio immaginario».Lei ha detto nella sua biografia manga “Gekiman!” che nel suo “Devilman” ha voluto rappresentare una metafora della guerra in cui «i demoni sono i militari dotati delle più elevate capacità belliche». Oggi purtroppo il suo messaggio sembra essere ancora più attuale di quando l’ha realizzato: avrebbe mai immaginato che in questi anni si potesse ritornare a parlare della minaccia atomica?«Alla fine diDevilmanappare una sfera di luce, da cui esce un esercito di angeli per attaccare la Terra. La sfera di luce è una metafora dell’esplosione atomica, e vuole essere un avvertimento: se le guerre continueranno a estendersi ed espandersi, il mondo perirà sotto la minaccia atomica».Sempre in “Devilman” lei parla anche dei ragazzi: «I giovani che ora si godono la gioventù e la pace, verrebbero costretti dallo Stato a imbracciare delle armi assassine per uccidere soldati di Paesi nemici: in pratica diventerebbero come Devilman». Non c’è speranza per gli esseri umani?«Se ciascun essere umano sulla faccia della Terra pensasse di voler fermare tutte le guerre, potrebbe esserci speranza. Smettere di usare ogni tipo di arma sarebbe fondamentale. La speranza è che, prima o poi, ogni conflitto possa risolversi a parole».Che differenza c’è tra i suoi robot e i supereroi americani?«I robot sono un concentrato di scienza e tecnologia, è una cosa che ho imparato da Astroboy. I supereroi americani invece sono per lo più “super umani”. A volte alieni, o anche dèi, o persone con poteri sovrannaturali».Lei è stato il primo a inventare l’assemblaggio dei componenti per creare un robot: come le è venuta in mente questa idea? E quella dell’armatura? Forse dai guerrieri medioevali occidentali?«Per quanto riguarda Mazinger Z è esattamente così. Per altri robot o i loro nemici, invece, ho pensato a una forma “meccanizzata” di diversi esseri viventi, animali o insetti».La tecnologia aiuta gli esseri umani o sono gli esseri umani a essere governati dalla tecnologia?«Il tutto dipende dall’utilizzo che gli esseri umani ne fanno. Vorrei che ne facessero buon uso».Secondo lei è possibile una lettura politica dei suoi manga? Per esempio in “Atlas Ufo Robot”, i nemici di Vega assomigliano molto ai nazisti mentre in “JeegRobot” la regina Himika del popolo Yamatai che vuole conquistare il mondo sembra far riferimento al Giappone autoritario della Seconda guerra mondiale: può essere corretto questo tipo di lettura?«I miei manga contengono diverse metafore sul mondo in cui vivono gli esseri umani. Ogni lettore può trarne ciò che preferisce».Le donne hanno sempre un ruolo importante nelle sue storie: non sono mai donne deboli e anzi a volte sono nemiche molto potenti ma anche rispettabili. Quanto è importante la figura femminile per lei?«Non saprei. Nella mia famiglia, in cui c’erano solo fratelli maschi, le ragazze costituivano sia un mistero, sia un oggetto del desiderio».I suoi eroi hanno spesso una psicologia complessa e così anche i loro nemici: bene e male non sono netti.«Io credo che nessuno sia completamente buono o completamente malvagio. Gli esseri umani vengono forgiati dall’ambiente in cui vivono. Chiunque per me, in base alle proprie esperienze e alle circostanze intorno a lui, può diventare un “buono” o un “cattivo”».Lei preferisce il manga o l’anime dei suoi robot?«Ciascuno dei due media ha, espressivamente, i suoi lati positivi. Non saprei dire quale sia il migliore».In Italia negli anni Ottanta i suoi anime sono stati anche criticati perché ritenuti violenti.«In realtà ho sempre voluto veicolare un messaggio di pace e libertà. La storia umana è una storia di guerra e violenza. Vorrei che tutta la carica di questa violenza sipotesse dissipare godendosi la visione di un anime».Oggi comunque ci sono manga e anime molto più violenti e nessuno dice niente. Cosa è cambiato?«Penso che nel cuore degli esseri umani alberghi un’energia violenta. I manga e gli anime contribuiscono a sfogare questa violenza in un mondo di fantasia, e penso che questo giochi un ruolo importante per evitare che questa energia venga invece dissipata nel mondo reale».A stemperare l’atmosfera nelle sue storie ci sono anche degli intermezzi con dei personaggi buffi: è un’eredità del teatro giapponese Kyougen?«In realtà prendo più ispirazione dai film che dalle forme di teatro Kyougen (intermezzi comici durante le rappresentazioni di teatro No,ndr)».Tra i vari robot che lei ha inventato qual è il suo preferito e perché?«Mazinger Z, la mia prima creazione, è quello a cui sono più affezionato».Anche con i robot lei intendeva “far suonare il campanello” sulle possibilità di una guerra per il futuro?«Assolutamente sì. Le armi sono spaventose, e vorrei fare in modo che questo messaggio venga recepito».Pensa che la sua profezia di una Terza guerra mondiale si stia avverando vedendo quello che sta succedendo oggi tra Russia e Ucraina?«Non penso che le probabilità siano proprio a zero, ma spero che in qualche modo si possa evitare».Com’è il mondo dei manga oggi rispetto a quello di cui lei è stato il creatore? C’è qualcosa che le piace?«Penso che il fatto che nuovi autori possano “debuttare” su supporti diversi dalla carta sia un’evoluzione positiva. Allo stesso tempo, penso che oggi ci sia moltissima competizione tra imangaka, forse troppa».A cosa sta lavorando adesso?«A una serializzazione settimanale su una rivista rivolta a lettori adulti, si tratta di un manga d’azione con protagoniste delle ragazze samurai».In questi ultimi tempi ci hanno lasciato due grandi artisti come il suo affezionato assistente Gosaku Ota e il maestro Leiji Matsumoto. Cosa ricorda della loro arte e del loro lavoro?«Non ho avuto occasione di leggere molte opere di Matsumoto-san, ma l’ho incontrato spesso alle feste organizzate dai vari editori. Per quanto riguarda Ota-kun, invece, essendo stato mio assistente gli davo spesso consigli. Si impegnava sempre molto».C’è qualcosa di particolare che vuole dire al pubblico italiano che sta finalmente per leggere in maniera organica i manga che stanno dietro i loro amati anime?Scopriranno qualcosa di più dei suoi personaggi?«Voglio continuare a disegnare manga e creare anime, e sarei molto felice se i lettori italiani continuassero a leggerli e apprezzarli. Sarei molto felice di avere la possibilità in futuro di tornare a incontrare i fan italiani in altri eventi, come il Romics (festival di fumetto che si tiene a Roma, ndr). Sarei davvero felice se i lettori italiani continuassero a supportarmi anche in futuro».