la Repubblica, 20 maggio 2023
Il mercato degli allenatori
Vincere e dirsi ciao. Conquistare un trofeo che la piazza attendeva da una vita e poi salutare, fra veleni nascosti e dissapori mai sciolti. La storia d’amore di Spalletti con il Napoli ha imboccato una curva pericolosa. Quella di Mourinho con la Rom a, anche.
Il mestiere dell’allenatore ha regole chiare: o vinci, sei un fenomeno e resti, oppure perdi e te ne vai. Non in questo caso. Spalletti a Napoli ha conquistato uno scudetto che lui inseguiva da una vita e la città attendeva da 33 anni. De Laurentiis l’ha elogiato: «Un allenatore da studiare», uno che dovrebbe insegnare il calcio ai ragazzi delle scuole per conto del ministero. Ma la realtà è fatta di contratti: quello di Spalletti è stato stipulato due anni fa, ora scade nel 2024 e il tecnico ha rifiutato la proposta di estenderlo al 2025 a 3,5 milioni più bonus.
José Mourinho ne guadagna fino a 7 netti dai Friedkin: al primo tentativo ha portato alla Roma la Conference League, al secondo l’ha guidata in finale per l’Europa League, per una squadra che dal 2008 non aveva alzato neppure un pezzo minore d’argenteria. Eppure fra la proprietà americane e il portoghese c’è un gelo fatto di silenzi, da una parte, e di punture dall’altra: «Qualche volta ho le mie frustrazioni, ambizioni diverse...», ha detto spesso, chiedendo alla proprietà incontri mai avvenuti. Pure qui: c’è un terzo anno di contratto. Ma sembra una prigione. Con una finale all’orizzonte, a Budapest contro il Siviglia il 31 maggio.
A Napoli la lontananza è maturata nei giorni della festa. Spalletti a Udine a prendersi il punto scudetto, De Laurentiis al Maradona. Neppure una telefonata di congratulazioni a caldo. «Ho voluto lasciarli festeggiare», ha spiegato il presidente. Poi c’è la questione del rinnovo unilaterale: il club ha esercitato un clausola inviando un messaggio via pec, un esercizio formale che a Spalletti non è andato giù. Quindi la cena, la prima, venerdì scorso, fra De Laurentiis, il tecnico e l’ad Chiavelli, in un noto ristorante di Chiaia. Non la migliore occasione, in pubblico, per parlare di contratti e programmi. E infatti è stato necessario un altro incontro, due giorni fa, neppure questo risolutorio. De Laurentiis ha proposto di prolungare fino al 2025. Spalletti per ora ha rifiutato. Certificando che la sua permanenza a Napoli non è scontata. De Laurentiis sembra quasi prepararsi all’addio: «È un fuoriclasse, mi auguro resti al Napoli, ma la libertà è un bene incommensurabile, non bisogna mai tarpare le ali a nessuno, come nessuno deve farlo con me». Ilclub si guarda intorno, e ripensa a vecchi amori: quello per Benitez, che il Napoli l’ha già allenato dal 2013 al 2015 ed è libero da un anno e mezzo, e quello per Gian Piero Gasperini, contattato durante l’era Mazzarri come possibile sostituto, fino a Vincenzo Italiano, impegnato in una doppia finale con la Fiorentina (per la Coppa Italia il 24 a Roma contro l’Inter, per la Conference League il 7 giugno a Praga col West Ham). Attenzione però: su Spalletti c’è anche la Juventus. Idem per il ds Cristiano Giuntoli: si è promesso ai bianconeri ma è ancora vincolato al club azzurro, che non lo libera.
Mourinho invece ha un’offerta del Psg e il flirt è molto avanzato. Lui l’ha smentito, ma i contatti vanno avanti da un anno. Nel frattempo recita la parte a lui più congeniale: il demonio che, parole sue, con una rosa incompleta, piana di infortuni, ostaggio del fair play finanziario, è di nuovo in finale. Lui è esperto di addii nei giorni del trionfo: all’Inter, dopo la Champions, non tornò con la squadra da Madrid per evitare di ripensarci. Il rischio è proprio quello: l’empatia col pubblico e i giocatori è l’unica molla che può convincerlo a restare. Ma sa Mourinho che più di questo la Roma non può fare. Per uno come lui, è già un motivo per dirsi addio.