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 2023  maggio 20 Sabato calendario

Intervista aJoseoh Stigliz


«Un’economia che ha permesso il dilagare dello sfruttamento e al contempo del potere di mercato delle corporation, aprendo la strada a immense diseguaglianze: di reddito, ricchezza, opportunità, salute». Stiglitz, premio Nobel nel 2001, docente alla Columbia University di New York, uno dei più prestigiosi economisti mondiali, ha concentrato da molti anni la sua ricerca e la sua opera di evangelizzazione sugli eccessi del capitalismo, le sue ingiustizie, le minacce alla democrazia. Un capitalismo da riformare è il titolo della conferenza che terrà sabato 27 maggio al Festival dell’Economia di Trento. Sarà affiancato da Lisa Fitoussi, docente a SciencesPo, oltre che avvocato dei diritti umani, e figlia dell’amico di sempre Jean-Paul Fitoussi, scomparso l’anno scorso e protagonista con Stiglitz di mille battaglie per una società più giusta.
Professore, in che senso parla di minacce alla democrazia?
«A lungo andare, le falle del sistema in termini di reddito e di opportunità, hanno aperto la strada al populismo degli estremisti, in America come in molti Paesi europei, una minaccia tremenda per le nostre democrazie. È come se si fossero dimenticati gli investimenti in “resilienza”, indispensabili per attrezzare le società a resistere a shock violenti e ripetuti come il Covid o la guerra».
Ci spiega, al di là delle suggestioni intuibili, come questi shock hanno esacerbato lediseguaglianze?
«In assenza delle reti di protezione, la pandemia ha colpito più duramente, in tutto il mondo, chi aveva un reddito più basso e insufficienti protezioni sia contrattuali che di welfare. Quando il Covid stava finendo e le economie cominciavano a riprendersi, le strozzature nella catena delle forniture e la domanda disordinata, improvvisamente tornata prepotente, hanno portato all’inflazione che, ancora, penalizza e colpisce le fasce più deboli.
L’invasione dell’Ucraina ha dato il colpo finale, evidenziando una volta per tutte le debolezze di un’economia “short-sighted”, sia perché ha mostrato l’insufficienza degli investimenti in resilienza, sia perché, per esempio, non è riuscita a correggere i meccanismi di formazione dei prezzi energeticiche hanno sovraccaricato gli aumenti all’origine – che come sapete stanno svanendo – colpendo i redditi più bassi. L’inflazione è il più forte vettore di diseguaglianze».
La guerra in Ucraina ha anche aggravato tensioni geopolitiche latenti da tempo. Con quali risultati?
«Beh, vale per tutti il caso della Cina. L’atteggiamento a lungo ambivalente di Pechino, che a tratti sembra supportare la Russia, ha chiaramente esacerbato i contrasti e allontanato la loro soluzione».
Infine, le banche, un altro degli anelli deboli del capitalismo contro cui le più frequentemente si scaglia. Abbiamo letto in un suo recente articolo su Project Syndicate che “i regolatori bancari non agiscono con fermezza in America, eppure sono loro stessi ad aver creato i rischi”. Chesignifica?
«La Federal Reserve, così come la Banca centrale europea, ha molti ruoli. Fissa i tassi d’interesse, ma è anche contemporaneamente responsabile per la regolazione del sistema bancario, nonché per la sua supervisione. Fra tutti questi ruoli si è creato un corto circuito: sicuramente la parte regolatoria è stata sacrificata, come dimostrano i fallimenti di molte banche regionali lasciate senza controllo del giusto equilibrio fra impegni e capitalizzazione. La riforma del 2010, il Dodd-Frank Act, che appunto cercava di mettere in sicurezza le banche dopo la crisi del 2008-2009, è stata superata e ignorata. E quanto ai tassi, sono saliti troppo e troppo in fretta».
Però l’inflazione è un’emergenza vera.
«Si può attaccare in diversi modi.
Intanto a provocarla sono oggi soprattutto gli eccessivi profitti che le grandi corporation accumulano almeno in alcuni settori. Bisogna considerare che le pressioni sulla supply-chain, oltre che sull’energia, si sono allentate, e infatti l’inflazione sta scendendo per suo conto. Gli alti tassi finiscono con l’esacerbare molti problemi e rendere più difficile risolverli. E danno luogo a una serie di effetti collaterali».
Per esempio?
«La fuga dei depositi dalle banche americane alla ricerca di migliori rendimenti ora che sono possibili, che diversi fallimenti ha già provocato, e poi ovviamente l’aggravio sui prestiti di ogni sorta. Senza contare gli effetti all’estero, ovvero l’aggravamento della crisi debitoria in tanti Paesi in via di sviluppo che finisce ancora una volta col colpire la povera gente».