la Repubblica, 20 maggio 2023
Intervista a James Senese
James Senese è il nero a metà che ha ispirato Pino Daniele portando l’America tra le melodie del grande cantautore partenopeo. Figlio di un militare statunitense assegnato alla base di Capodichino e di una donna napoletana, Senese è anche l’inventore dei Napoli Centrale, artefici di una formula in cui il jazz incontra la musica mediterranea. A 78 anni, il musicista torna con l’album Stiamo cercando il mondo,l’ottavo della carriera solista iniziata 40 anni fa e a più di 60 anni dal suo debutto nella musica.
Un disco in cui lei sembra andare anche in cerca delle sue radici.
«Vengo da padre americano e da madre napoletana, ho assorbito le culture dell’America e di Napoli. Ilmio non è jazz e non è blues, è musica mediterranea che non assomiglia a nessun’altra. Vado alla ricerca delle radici, certo, perché da una parte c’è la spinta americana, una parte dominante anche se io cerco di frenarla, perché anche se non voglio io sono americano. Ma sono nato a Napoli, e la componente melodica mi ha spinto verso la creazione di un’avanguardia».
Che ricordo ha di suo padre?
«Mi ha lasciato che avevo tre anni, mi ricordo solo che quando bisticciava con mia madre mi prendeva in braccio e mi portava in caserma. La sera poi mi riportava da mia madre. Un giorno se ne andò e da lì è partita la mia vita».
Ha cercato di avere un contatto con lui?
«Ho sempre desiderato di incontrarlo e di averne notizie ma non ci sono mai riuscito. Un suo amico tornato dall’America a Napoli disse a mia madre di averlo visto in metrò: quel giorno seppi che mio padre era vivo. Il rapporto non lo abbiamo mai avuto perché credo che mio padre fosse già sposato in America. Mia madre mandava le lettere con le nostre fotografie ma non tornava mai indietro niente, lui sicuramente le riceveva».
Tutto questo deve essere stato molto doloroso per lei.
«Mi ha fatto male perché mi sono sentito solo. D’altra parte, vedermiallo specchio con la pelle di un altro colore senza realizzare il perché è stata una grande sofferenza. Mi è rimasta addosso fino a oggi. Mi hanno salvato i nonni materni che mi hanno fatto da padre e da madre e mi hanno dato l’amore di cui sentivo il bisogno. Ma è stato un momento molto duro».
La musica è stata una cura?
«È proprio così. Crescendo ho trovato amici che erano come me.
Dai 15 anni i miei coetanei mi hanno accolto senza farmi pesare la mia negritudine. A cominciare dai compagni nel gruppo Napoli Centrale».
E tra questi anche Pino Daniele.
«Sicuramente, anche se è arrivato dopo. Un incontro che è stata la sua
fortuna, trovare me, il nero a metà.
Perché Pino fino ad allora era ’Na tazzulella ’e cafè,io gli ho dato tutta la cultura d’America che conoscevo e che lui conosceva solo in parte. Pino l’ha fatta sua ed è arrivato dov’è arrivato».
L’album ha una prima parte blues e nella seconda è più jazz e solare. Una divisione voluta?
«È un cambio voluto. Con il mio sassofono devo suonare la melodia che ho sempre sentito e voluto fare ma non ho mai potuto perché per il sistema dovevo cantare. I brani strumentali sono una conquista e d’ora in poi sarà sempre così. Anzi, in futuro penso che esagererò ancora di più in questa direzione».