La Lettura, 20 maggio 2023
Tutti sono debitori a Borges
Se un classico è un testo che, tra i suoi molti poteri, ha quello di non passare mai di moda, i libri di Borges, e in particolare le sue tre supreme raccolte di racconti – Finzioni, L’Aleph e Il libro di sabbia – sono un classico al cubo, dal momento che Borges non smette mai di essere di estrema attualità. Attualità letteraria, si capisce, visto che una delle caratteristiche dell’opera borgesiana è il collocarsi fuori dal tempo, dai rivolgimenti delle epoche e da ogni affrettato attualismo. E tuttavia, se oggi molti lettori avveduti guardano sempre più spesso alla letteratura dell’Europa centro-orientale come nuovo epicentro dell’arte del romanzo e del racconto, alle nuove metafisiche dei vari Georgi Gospodinov, Olga Tokarczuk, Mircea Cartarescu e László Krasznahorkai (e Ágota Kristóf prima di loro), chi se non Jorge Louis Borges ne è padre e padrino?
Il nonno è senz’altro Franz Kafka, ma questa genealogia letteraria trovò un primo e cruciale rinnovamento nel «realismo magico» sudamericano, che ebbe grandiosi esponenti anche in due connazionali di Borges, Julio Cortázar ed Ernesto Sábato, oltre che nel colombiano Gabriel García Márquez, ma il cui primo e più intenso picco di luminosità fu certamente l’opera del Cieco, ancora satura di modernismo eppure già post-moderna, e allo stesso tempo antichissima, come un mito tardivamente riportato alla luce, tant’è che la stessa definizione di «realismo magico» le sta stretta, strettissima.
Si comprende allora perché la notizia del mancato testamento di María Kodama, vedova del sommo autore argentino scomparsa lo scorso 26 marzo, abbia destato scalpore in tutto il mondo letterario, anche al di là del naturale gossip attorno a un gigante del Novecento e a sua moglie. Non è solo questione di soldi: il lascito include le carte dell’autore e quindi la speranza, o più probabilmente la fantasia – ma è una bella fantasia, a sua volta borgesiana, molto borgesiana – che esse includano qualche testo inedito.
María Kodama nacque a Buenos Aires il 10 marzo 1937, trentotto anni dopo Borges, da padre giapponese e madre tedesca. Conobbe lo scrittore a soli dodici anni, a un convegno letterario: nonostante la giovane età era già una sua lettrice, e amava in particolare il racconto Le rovine circolari. Quattro anni più tardi, i due si incontrano di nuovo davanti a una libreria: María ha già deciso che studierà Lettere all’università; Borges, allora cinquantaquattrenne, non è immune al fascino della ragazzina, tanto è vero che la ricontatta e ben presto, nonostante l’avversione dei genitori di lei alla frequentazione di un uomo così attempato, nasce un’amicizia, sempre giocata su solide basi letterarie, che più tardi diventerà una relazione amorosa a tutti gli effetti. Il matrimonio arriverà solo nel 1986, due mesi prima della morte dello stesso Borges a 86 anni (a Ginevra, il 14 giugno): a causa delle leggi argentine, che vietavano il divorzio, lo scrittore era rimasto legalmente sposato con la prima moglie Elsa Millán, sposata nel 1967, nonostante si fossero separati soltanto tre anni dopo le nozze.
Come riporta Alberto Mingardi in una bella ricostruzione della relazione Borges-Kodama uscita poco dopo la morte di lei, Mario Vargas Llosa spiegò che con l’arrivo della nuova fiamma nella sua vita, l’autore della Biblioteca di Babele trovò finalmente la serenità: «Grazie a lei – scrive Vargas Llosa – ha vissuto anni splendidi, godendo non soltanto dei libri, della poesia e delle idee, ma anche della vicinanza di una donna giovane, bella e colta, con la quale poteva parlare di tutto quello che lo appassionava e che, inoltre, gli ha fatto scoprire che la vita e i sentimenti potevano essere tanto o più eccitanti delle aporie di Zenone, della filosofia di Schopenhauer, della macchina per pensare di Raimondo Lullo o della poesia di William Blake».
Ma il sodalizio Borges-Kodama fu molto proficuo anche dal punto di vista letterario, e non solo per l’aiuto che María gli diede quando Borges si ritrovò cieco come suo padre, come suo nonno e come il suo bisnonno prima di lui; i due si appassionarono assieme alla letteratura norrena, e grazie a Kodama Borges dedicò gli ultimi anni della sua vita agli studi sull’Islanda medievale, che portarono alla traduzione a quattro mani dell’Edda in prosa di Snorri Sturluson, nonché alla stesura della Breve antologia anglosassone (1978) e dell’Atlante (1984). Testimonianza di tale tardiva ma bruciante passione è anche la lapide sulla tomba di Borges a Ginevra, dove sono riprodotti i bassorilievi di una nave vichinga e di alcuni guerrieri norreni.
Nominata erede universale dall’autore dopo la sua morte, María Kodama è stata presidente della Fundación Internacional Jorge Luis Borges per tutta la vita. Ma giunta la propria, di morte, nello stupore generale non ha lasciato alcun testamento, né scrittura privata, niente di niente. Uno stupore dovuto anche al fatto che circolavano da tempo voci di piani molto dettagliati circa il destino da dare all’eredità di Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo. Invece, l’avvocato di María Kodama, Fernando Soto, pur confermando che la vedova «voleva farlo», ha dovuto spiegare che, invece, non aveva lasciato nulla. Un fatto davvero curioso, secondo alcuni addirittura sospetto, vista la gelosia, la riservatezza e la cura con cui Kodama aveva sempre gestito il lascito borgesiano e la sua eredità materiale e letteraria; lei stessa, inoltre, in un’intervista al quotidiano portegno «La Nación», aveva lasciato intendere che considerava l’idea di destinare tutto a due università, quella di Tokyo e un non meglio specificato ateneo americano, che avesse i requisiti per «tenere corsi di letteratura spagnola» ed «essere stato teatro di conferenze dello stesso Borges», una combinazione che riduceva le indiziate a due facoltà di Lettere: quella di Harvard e quella dell’Università del Texas.
Quando si cominciava allora a credere – in assenza di scritti testamentari – che l’eredità dell’autore sarebbe passata semplicemente alla città di Buenos Aires, della cui biblioteca Borges era stato peraltro direttore, sono spuntati cinque nipoti, privi di legami di sangue con lo scrittore – tutti figli di Jorge Kodama, fratello di María – a pretendere legittimamente l’eredità.
Così, Mariana del Socorro Kodama, Martín Nicolás Kodama, Matías Kodama, María Belén Kodama e María Victoria Kodama – tutti piuttosto esterni alla vita della zia, che aveva vissuto i suoi ultimi anni da sola, in un albergo di Buenos Aires, distantissima da suo fratello e dal resto dei familiari, spesso lamentandosi con i pochi con cui era rimasta in contatto della propria solitudine – hanno scritto alla corte: «Ci presentiamo nella nostra piena capacità di nipoti e soli eredi della defunta sorella di nostro padre Jorge, e chiediamo (…) la piena determinazione dei contenuti dell’eredità tramite inventario, così da poterla appieno salvaguardare».
L’eredità di Borges contiene dunque i diritti delle opere, pubblicate in ogni Paese e lingua del mondo e mai uscite di stampa – diritti che, vigenti le leggi argentine sul copyright, saranno in vigore fino al 2056 —, diverse proprietà immobiliari, la vasta biblioteca dello scrittore e, soprattutto, ogni suo manoscritto, e non si sa ancora se siano tutti editi o comprensivi di qualche inedito (l’archivio testuale non è mai stato catalogato ufficialmente, e solo María Kodama ne conosceva l’esatto contenuto).
Il materiale è al momento in custodia presso i funzionari dello Stato argentino. Non è impossibile, vista anche la distanza che avevano sempre avuto dalla zia quand’era in vita, che ai cinque nipoti Kodama interessi solo la parte pecuniaria dell’eredità; ma la comunità letteraria mondiale resta con il fiato sospeso, anzitutto rispetto al contenuto delle «carte borgesiane»: se non un Libro di sabbia (o, chissà, un Aleph o uno Zohar dimenticato nell’angolo di uno scaffale), la speranza di tutti è l’emersione almeno di qualche pagina inedita, o delle versioni precedenti di qualche suo capolavoro. Facile capire la ragione di tutta questa trepidazione: terminata ufficialmente la sbornia di realismo del secondo Novecento, oggi si guarda all’opera di Jorge Luis Borges come non mai, e non solo nell’Est europeo; anche autori adesso centrali nella letteratura del Regno Unito – come Tom McCarthy, David Mitchell o Aliya Whiteley – hanno un evidente debito con il Cieco, e lo stesso vale per le recenti tendenze new weird, o «novo sconcertante italico» che dir si voglia, che attraversano la nostra letteratura.
Ma in realtà tutti sono debitori a Borges: scrittori fantastici, scrittori realistici, nuovi metafisici, lettori avveduti e lettori d’occasione: il motivo lo spiegò bene il fondatore del cyberpunk William Gibson, quando raccontò che la prima lettura di un racconto di Borges – nel suo caso fu Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, contenuto nella raccolta Finzioni, come quelle Rovine circolari la cui lettura galeotta portò all’amore tra Borges e Kodama – ebbe la sensazione che gli fosse stato installato un aggiornamento del sistema operativo. La speranza di tutti, allora, è che nelle carte ora contese sia contenuto un ulteriore aggiornamento del software.