Corriere della Sera, 20 maggio 2023
Parla Houellebecq
Lo Scarafaggio, l’Oca, la Troia, la Vipera sono i co-protagonisti del nuovo libro di Michel Houellebecq. La copertina italiana è rosso sangue, quella francese nera «perché il libro è funebre», dice lo scrittore rockstar, subito riconosciuto da un fan e avvicinato per un selfie ai tavolini di un ristorante cinese del XIII arrondissement, all’inizio della Chinatown parigina.
La settimana prossima esce in Francia e in Italia Qualche mese della mia vita (La Nave di Teseo), e il 67enne autore di tanti romanzi che hanno fatto epoca, da Estensione del dominio della lotta a Particelle elementari, da Sottomissione all’ultimo Annientare, incontra il Corriere per parlare di queste 105 pagine autobiografiche e dei «mesi sinistri» vissuti dall’ottobre 2022 al marzo 2023.
Prima la denuncia, poi ritirata, della Grande Moschea di Parigi per le frasi sui musulmani pronunciate in un lungo colloquio per la rivista Front Populaire di Michel Onfray. Poi, peggio, la battaglia legale ancora in corso contro Stefan Ruitenbeek, lo Scarafaggio come lo chiama Houellebecq, leader del collettivo artistico olandese Kirac che ha coinvolto lo scrittore e la moglie Lysis in un film porno «senza mai, ripeto mai avere avuto il mio consenso. Per la prima volta nella mia vita mi sono sentito trattato come l’oggetto di un documentario sugli animali», scrive lo scrittore francese vivente più celebre al mondo.
Che cosa è successo? Abbiamo conosciuto un Houellebecq più spavaldo, un simbolo della ribellione contro il politicamente corretto. Il suo libro, di rara sincerità, la rivela tormentato, pronto a chiedere scusa, pentito delle frasi sui musulmani e pieno di vergogna per le scene porno, pur estorte con l’inganno. Si sente cambiato rispetto al passato?
«Sì. Quanto ai musulmani, sono stato stupido a non rileggere con maggiore attenzione quel testo. Era molto lungo è vero, ma visti i precedenti avrei dovuto fare più attenzione».
Ha riscritto le frasi contestate, ha fatto marcia indietro. Come mai?
«Perché non volevo offendere i musulmani, ma mettere in guardia contro il pericolo che una piccola minoranza di loro, gli islamisti jihadisti, potessero provocare una reazione violenta, attentati in stile Bataclan al contrario, che davvero non mi auguro, portando la Francia alla guerra civile».
E ha cambiato idea?
«Sui musulmani in generale, sì. Diciamo che ho preso coscienza che certe cose sono dettagli. Non me ne importa nulla che le donne indossino il burkini in spiaggia, o che ci siano le macellerie halal, basta con questa ossessione dell’assimilazione forzata, basta con il modello ripetuto allo sfinimento degli “italiani e polacchi che hanno saputo diventare francesi”. Non sono più d’accordo con certe idee dei miei amici di destra».
L’assimilazione non è più importante?
«I cinesi per tanto tempo non si sono assimilati e non c’è stato alcun problema, io ho abitato in un palazzo qui accanto e i vicini di casa, i vecchi cinesi, non parlavano francese, non è grave. I giovani poi lo hanno imparato per poter lavorare. Nelle banlieue il problema è la delinquenza, non l’Islam. Resta il pericolo che una piccola minoranza provochi una guerra civile. In passato è già successo, con le rivoluzioni francese e russa».
In questi mesi l’insurrezio ne si è sfiorata non sull’Islam ma sulla riforma delle pensioni. Che cosa ha pensato delle manifestazioni contro Emmanuel Macron?
«Mi interessano ma non le capisco. Ho dei buchi nella comprensione della società. Per esempio, non ho mai capito veramente chi siano i black bloc. Mi vengono in mente i nichilisti russi, la distruzione per la distruzione. In ogni caso dubito che il punto sia il passaggio dell’età della pensione da 62 a 64 anni. È una protesta più ampia contro la società. Tendo a interpretarla come una manifestazione del desiderio di suicidio occidentale».
A proposito, che cosa pensa Michel Houellebecq dell’intelligenza artificiale?
«Non mi fa paura. Non condivido gli allarmismi. Da grande appassionato di fantascienza mi affascina l’idea di potere parlare un giorno con gli extraterrestri e adesso con l’intelligenza artificiale. L’opera da citare in questo ambito è il classico Ciclo dei Robot di Isaac Asimov. Non mi fa paura neanche che l’intelligenza artificiale sia più intelligente dell’uomo. Perdevo a scacchi già con mio padre, posso perdere pure con il computer».
Per tornare al libro, perché soffre così tanto per il film porno degli olandesi? Da lei ci si aspetterebbe una scrollata di spalle.
«Una scrollata di spalle sarebbe stato un atteggiamento punk. Ma io non sono mai stato punk. Ho sempre amato i Pink Floyd, non i Sex Pistols. Gli anni Settanta sono stati un grande periodo in Francia, tutto andava bene... Non abbiamo avuto gli Anni di piombo come voi in Italia. Ogni tanto mi riguardo i Pink Floyd a Pompei, magnifico».
Sì, ma a parte i Pink Floyd, com’è andata davvero con questo film porno? Si è prestato a girare le scene e poi si è pentito?
«Non volevo partecipare al film porno di Kirac, anche se non ho niente contro la pornografia».
E allora che cosa è andato storto?
«Io e mia moglie abbiamo girato alcune scene con Jini van Rooijen, la ragazza amica dello Scarafaggio. Erano destinate al suo account Onlyfans, che credevo fosse una cosa privata. Quando ho capito che era pubblico e a pagamento, ho negato l’assenso».
Come sono finite quelle scene nel film porno che il collettivo Kirac vuole diffondere online e al cinema?
«Lo Scarafaggio poi ci ha invitato a Amsterdam attirandomi con un evento sul mio amato Lovecraft, e in albergo mi ha fatto firmare in fretta e furia una specie di liberatoria. Ho scoperto solo in seguito, con stupore, che era retroattiva, e comprendeva quindi le scene private girate a Parigi. Sono stato ingannato. Appena sceso alla stazione ferroviaria di Amsterdam poi c’era stato un cameraman che ha cominciato a filmarmi senza neanche dirmi buongiorno. Davanti alla cinepresa ho dato qualche bacio a Isa, che nel libro chiamo l’Oca, sono le immagini finite nel trailer senza il mio permesso. Quei giorni ad Amsterdam sono stati spaventosi, mi sono fidato di gente senza scrupoli. Di questo mi vergogno, ho abbassato la guardia. Mi sono fatto turlupinare».
Che cosa rappresenta per lei la pornografia, nonostante questa disavventura?
«È l’unico modo per fissare nel tempo momenti molto belli. Non sono esibizionista, anche se apprezzo la generosità di chi si esibisce. Mi interessa filmare alcuni miei incontri sessuali, perché non vadano perduti istanti in cui sento di avere davvero vissuto. Non trovo niente di malsano nella pornografia, e non capisco la crociata degli ambienti conservatori. Io e una ex una volta ci siamo registrati, ogni tanto guardo quel video con piacere. Mi fece scoprire i Nirvana e YouPorn. I vantaggi di avere fidanzate più giovani».
Non teme di essere accusato di sessismo per l’epiteto che riserva alla ragazza del collettivo Kirac?
«No, per niente. È un soprannome meritato, così come lo sono gli altri. A mia volta io ho ricevuto i loro insulti in molte interviste. Sono persone malvagie, che agiscono per soldi e per pubblicità. Il problema non è la pornografia ma l’inganno. Mi vergogno di essermi lasciato coinvolgere da questi personaggi».
Non le sarebbe convenuto lasciare perdere e non dare pubblicità a questa vicenda?
«No. È quello che mi consigliavano molti amici, ma credo di avere fatto bene a reagire, anche con questo libro. Non è vero che una notizia scaccia la notizia precedente. Il tempo non è più lineare, su Internet tutto accade allo stesso tempo. Vengo avvicinato da persone che mi dicono “l’ho appena vista in tv” quando sono anni che non vado in televisione, ma magari mi hanno visto su YouTube in una trasmissione di dieci anni fa. È stato il mio amico Gérard Depardieu a consigliarmi di battermi, fino in fondo, perché non sono famoso come lui ma comunque abbastanza da dovermi difendere».
In questi giorni Depardieu è accusato di aggressioni sessuali.
«Lo so, ma lui si proclama innocente e io gli credo. Un seduttore non può essere un violentatore. E Depardieu punta tutto sulla seduzione».
Come sta andando la causa contro Kirac?
«Meglio del previsto. Un giudice olandese mi ha riconosciuto il diritto di visionare il film quattro settimane prima della diffusione, e oppormi alla distribuzione se non mi piace. Ma potrebbe bastarmi una scritta iniziale, nella quale comunico che mi dissocio dal film e chiedo ai miei lettori di non guardarlo».
L’amicizia sembra contare molto per lei. Nel libro parla della rottura con Onfray, che non ha voluto riportare le sue correzioni al colloquio sull’Islam, ed esprime riconoscenza a Bernard-Henri Lévy, che ha preso subito le sue difese.
«Bernard è stato generoso e leale, a tanti anni dal libro che abbiamo scritto insieme, Nemici pubblici. Non abbiamo le stesse idee, per esempio sull’Europa unita, alla quale io continuo a non credere. Ma in passato mi sono lasciato sedurre troppo dalle idee, che certe volte mi hanno fatto sbagliare. Sono cambiato. Non credo alle idee; credo alle persone».