La Stampa, 19 maggio 2023
La nube attorno alle riforme
Se dovevano essere il punto centrale del programma riformatore del centrodestra tornato al governo sull’onda di un chiaro mandato elettorale, come ricorda spesso Meloni, le riforme istituzionali stanno entrando in una nube di confusione da cui difficilmente uscirà un effettivo cambiamento della figura del capo dello Stato o del ruolo del capo del governo. E non solo per il freno imposto al disegno di legge leghista sull’autonomia differenziata. Ma anche perché il secondo punto delle riforme, cioè la scelta tra presidente della Repubblica o del consiglio eletti direttamente, sta rivelando una serie di questioni connesse non facili da risolvere.
Ciò è emerso, sia dal documento dei riformisti del Pd che sollecitano Schlein a non tenersi fuori dalla partita delle riforme, sia dal convegno dei costituzionalisti al Cnel, in cui studiosi di tutte le tendenze hanno illustrato le difficoltà di mettere a punto una proposta compiuta e condivisa sulla figura del premier. Apparentemente più adatta a raccogliere un consenso più largo e a coinvolgere in parte anche l’opposizione, infatti, l’idea del primo ministro elettivo si infrange sulla constatazione che soltanto pochi Paesi al mondo l’hanno sperimentata, salvo poi pentirsene, come Israele. E quella del nome del candidato semplicemente indicato sulla scheda, ma non automaticamente eletto, funziona solo se il vincitore delle elezioni è dotato di poteri più forti (revoca dei ministri, possibilità di sfiduciarlo solo se si propongono contemporaneamente a maggioranza assoluta nuovi premier e governo), che non è detto che al momento di votarli incontrerebbero davvero un consenso più largo. Nelle due esperienze avute in Italia all’epoca (1994-2011) di Prodi e Berlusconi, i cui nomi appunto venivano indicati sulla scheda da tutti i partiti della coalizione, l’instabilità era rimasta molto forte: sia nel disarcionare il presidente (Prodi) perché non espressione del partito maggiore dell’alleanza, sia nel renderlo impotente, sebbene capo del partito più forte (Berlusconi) bloccandogli qualsiasi iniziativa. È da vedere gli alleati di Meloni, che scontano il suo peso personale e quello elettorale del suo partito, grande più della somma di Lega e Forza italia, siano disposti a rafforzarla ulteriormente. —