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 2023  maggio 19 Venerdì calendario

Sabina Guzzanti, ci dica un aggettivo con cui lei si definirebbe.«Qualche volta mi sento veramente una polla»

Sabina Guzzanti, ci dica un aggettivo con cui lei si definirebbe.«Qualche volta mi sento veramente una polla».
E perché?
«Be’, per esempio mi sono fatta hackerare la pagina Facebook. Una sera, mezza morta di stanchezza, mi hanno chiesto la password e zac, pagina rubata, tutto sparito».
Santo cielo.
«Mi dicono che adesso al posto mio c’è una sudamericana che balla col sedere di fuori».
In televisione l’hanno censurata per molto meno.
«Eccome. Prima apparizione televisiva, 1987, Proffimamente non stop, programma di Enzo Trapani su Rai 1. Compaio io vestita da suora. Segata subito, immediatamente».
E non avevano ancora visto «Matrioska».
«Io mi ero messa l’animo in pace quando Antonio Ricci mi chiamò per far parte del gruppo. Italia 1, seconda serata, c’era Moana Pozzi...»
Certo, a un certo punto apparve nuda.
«Era bellissima. Io un giorno mi avvicinai per parlarle, così, tanto per fare conversazione, e lei mi guardò dall’alto in basso come si guarda una nullità. Poi se ne andò senza dire una parola».
Anche «Matrioska» venne censurato.
«Ovviamente. Ricci era geniale, sapeva – e sa – fare la televisione. Negli anni ci siamo scontrati più volte, io ho criticato il suo Striscia La Notizia, gli ho detto che per me non era satira. Però le sue capacità sono fuori discussione».
E «Matrioska» era satira?
«Non nel senso che intendo io. Era una satira studiata, forse artefatta, non era una satira come azione politica. Ma oggi non ha senso fare ragionamenti di questo tipo. Oggi tutto “non è” qualcosa. La satira non è satira, l’informazione non è informazione, volendo, questo Parlamento non è un Parlamento. Oops...»
Vent’anni lontana dalla Rai.
«Ecco, vede?».
Ci tornerebbe?
«Non è una questione di Rai o non Rai. Io voglio andare là dove mi fanno dire quello che penso, ma senza estremismi da nessuna delle due parti. Io, come vede, sono una persona mite, ragionevole, non sono una che si impunta. Ma mi dà fastidio quando la censura viene definita “linea editoriale”. Tutto qui».
Su La7 la vediamo spesso.
«Infatti, il gruppo di Zoro funziona e ha trovato un equilibrio perché alle spalle ha anni di lavoro assieme, di affiatamento. Un programma comico non può resistere se non si crea quella relazione fertile tra i componenti. Oggi si pensa a tutto fuorché a far crescere un gruppo».
Ma lei ce l’ha il televisore a casa?
«No».
E perché?
«Perché lo trovo un brutto oggetto».
Solo teatro e libri.
«Sta uscendo il mio libro nuovo, ANonniMus, una commedia in cui un gruppo hacker della terza età si diverte a far fallire un raffinato sistema di intelligenza artificiale. Fa ridere, però secondo me questo è un tema serio: mi sconvolge vedere con quanta allegria e spensieratezza ci affidiamo alla tecnologia».
A lei adesso resta Instagram.
«Meglio così».
Sessant’anni a luglio.
«Sì vabbè ma non ci fate il titolo».
Però popolarissima in Rete e amata dai ragazzi. I video delle sue imitazioni storiche sono molto guardati anche da quelli che trent’anni fa non erano ancora nati.
«La vuole la verità?»
Sempre.
«Io le imitazioni in passato le ho fatte perché dovevo lavorare, mica sono stata sempre convinta di saperle fare. Tutto cominciò con Rita Levi Montalcini. Ero in cucina, la sentii alla tv e cominciai a fare la sua voce. Il mio compagno di allora arrivò con gli occhi spalancati e disse: “Ma sei uguale”. E così cominciai».
D’Alema come la prese?
«Una volta ci misero assieme nello stesso studio televisivo, stette al gioco, abbozzò un sorriso ma mi ricordo il colore della sua faccia: livida».
Non era, diciamo, felicissimo.
«Lei che dice?»
Be’, lei lo dipingeva come un narciso senza rimedio.
«Ecco, appunto».
E lei? Chi è che fa ridere di gusto Sabina Guzzanti?
«Checco Zalone. E poi, certo, mio fratello».
La lingua segreta
Chi mi fa ridere? Checco Zalone. E poi mio fratello Corrado. Con lui e mia sorella Caterina parliamo una lingua segreta,
a scatti, tutta nostra. Ci divertiamo come matti
Corrado. Che rapporto avete?
«Molto buono, ma tutti e tre siamo molto legati, anche con Caterina. Quando ci ritroviamo – e avviene abbastanza spesso – a casa, succede una cosa curiosa: ci mettiamo a parlare in un modo tutto nostro, una specie di lingua segreta, velocissima, a scatti. La capiamo solo noi, una questione di vibrazioni. E poi scoppiamo a ridere come tre matti».
Tutti e tre comici.
«Non è casuale, sa?»
Perché?
«La comicità è spesso una reazione alla sofferenza».
Infanzia difficile?
«Diciamo complessa».
Nati da Paolo Guzzanti, giornalista e deputato e da Germana Antonucci.
«Mamma e papà andavano ancora all’università quando siamo nati io e Corrado. Giovanissimi... Il loro è stato un rapporto burrascoso, si sono separati più volte e questo ha preso molta della loro attenzione che, dunque, non è arrivata a noi. Ma ci sono state anche cose belle».
Per esempio?
«Ci hanno insegnato a esercitare lo spirito critico. Io ho fatto la scuola montessoriana, quindi sperimentale, eppure ero una ribelle fin da bambina. Un giorno radunai tutte le sedie che potei trovare e costruii due enormi navi in corridoio. Mi fecero capire che non stava bene, i bidelli impiegarono sette ore per rimettere tutto a posto. Io stavo solo facendo teatro».
Era brava a scuola?
«Ho letto Gramsci in seconda media, in terza ho messo mano al Manifesto di Marx e Engels. Scrivevo commedie sin dalle elementari. Certo, erano commedie scritte da una bambina».
Precoce.
«E insofferente delle regole. Quando mi iscrissi all’Accademia di arte drammatica mi caddero le braccia: si faceva Alfieri, quando io sognavo un teatro diverso, nuovo. Se mi ribellai? No, perché sapevo che c’era una strada da seguire. In classe con me c’era Margherita Buy che già allora era Margherita Buy. L’anno dopo arrivarono Zingaretti e Popolizio. Ronconi ci ammutoliva semplicemente parlando: sapeva tutto, non potevi fare altro che stare zitto e ascoltare».
Quando è stata l’ultima volta che ha pianto?
«Quando Elly Schlein è stata eletta segretaria del Pd. Perché pensavo di dover morire senza vedere una donna in quel posto».
Non ha pianto vent’anni fa, nel 2003, quando la Rai cancellò «Raiot», nonostante i buoni ascolti?
«Ma no, ormai è passato tanto tempo. Lo sa chi fu tanto carino con me quando chiusero il programma? Milo Manara. Mi fece un ritratto in cui io stavo a cavallo, come Giovanna d’Arco».
Lei per la destra è uno spauracchio.
«Ma la sinistra non è che mi ami tanto».
Dica la verità: perché non ha la tv?
«Ma ha senso guardare tanti talk show in cui l’unico obiettivo è quello di parlare e parlare senza far capire nulla a chi sta a casa? Ha senso seguire dei programmi che si dicono di informazione quando poi l’informazione non c’è?»
Si è accorta che abbiamo parlato per quasi un’ora e il nome di Berlusconi non è ancora affiorato?
«Meno male».
Il buddismo non l’ha aiutata a farsi scivolare le cose addosso?
«Ho seguito per anni la pratica buddista, è stato un cammino importante e che mi ha segnato in modo profondo. È una strada, un modo di vedere le cose, di essere consapevoli. Ma adesso non sono più buddista. Perché? Sarebbe complicato da spiegare, eppure si potrebbe dire con molta semplicità che non lo sono più».
Lei pare anche più «morbida» rispetto agli anni precedenti, è così?
«So che sembra difficile pensarlo, ma io sono una persona con cui è facile andare d’accordo. Sembro una da rock duro, quando invece la mia vera passione è la musica classica. Mio nonno era musicista, mi ha insegnato il solfeggio e le basi, ho sempre ascoltato Bach e Schumann. Una volta sono andata a sentire per la prima volta un’esecuzione molto particolare di Beethoven a Roma. Ebbene, sono uscita così frastornata, che parevo ubriaca, sbandavo. Il tossico del quartiere si avvicinò preoccupato e mi disse: “Scusa, ma ‘nn’è che c’hai bisogno de na mano?”»
Questionario di Proust rivisitato. Io le dico un nome e lei mi dà una risposta secca e il più possibile sincera. Va bene?
«Proviamo».
David Riondino.
«Siamo stati insieme tanti anni. Un amore bello e complesso, lui colto e gentile. Una storia lunga, complicata, ma oggi siamo molto amici».
Giorgia Meloni.
«Risposta secca? Impossibile».
Giorgio Tirabassi.
«Abbiamo appena fatto uno spettacolo assieme. Adorabile. Professionale e gentile, ogni sera ci ripromettevamo di non fare tardi in tournée ma puntualmente facevamo l’una a mangiare e a parlare».
Paolo Guzzanti.
«....» silenzio
Sabina...
«La prego, parliamo d’altro».
Va bene. Che tempo c’è oggi a Roma?
«Bello, un poco nuvoloso...»