il Fatto Quotidiano, 18 maggio 2023
Tolstoj pacifista
Anticipiamo stralci di “Patriottismo o pace?” di Lev Tolstoj, in libreria da domani con Mattioli 1885
È come se non fossero mai esistiti Voltaire, Montaigne, Pascal, Swift, Kant, Spinoza e centinaia di altri scrittori che hanno denunciato con fermezza l’insensatezza e l’inutilità della guerra, descrivendone la crudeltà, l’immoralità, la ferocia; e, soprattutto, è come se non fosse mai esistito Cristo e il suo predicare la fratellanza fra uomini, l’amore per questi e per Dio. Uno rammenta tutto questo e, guardandosi attorno, non rimane più inorridito dagli orrori della guerra, ma da qualcosa che li supera tutti: la consapevolezza dell’impotenza della ragione umana…
Tutta questa eccitazione innaturale, febbrile, folle, che si è impadronita degli strati sociali più alti della Russia, è unicamente segno della consapevolezza della criminalità della vicenda. Tutti questi discorsi insolenti e menzogneri sulla fedeltà e la devozione al monarca, sulla disponibilità a sacrificare la propria vita (o meglio, quella di qualcun altro); tutte queste promesse di battersi per terre straniere; tutte queste insensate benedizioni reciproche con stendardi vari e brutte icone, tutte queste preghiere; tutte queste scorte di lenzuola e bende, tutti questi drappelli di crocerossine, tutti questi sacrifici della Marina e la Croce Rossa per un governo che – potendo riscuotere dal popolo tutto il denaro di cui ha bisogno e avendo dichiarato guerra – dovrebbe organizzare la flotta e i mezzi necessari per assistere i feriti; tutte queste preghiere slave pompose, insensate e blasfeme, che i giornali riportano come fossero una notizia importante; tutte queste manifestazioni, inni, “urrà”; tutta questa terribile e disperata mendacia giornalistica che, essendo universale, non teme di venire smascherata; tutto questo sbigottimento e smarrimento in cui versa ora la società russa e che a poco a poco si trasmette alle masse, tutto questo è sintomo di consapevolezza dell’atto terribile che si va compiendo.
Chiedete a un soldato semplice, a un appuntato, a un sottufficiale che ha abbandonato i suoi genitori anziani, la moglie e i figli, per quale ragione si prepara a uccidere persone a lui sconosciute: all’inizio sarà sorpreso dalla vostra domanda. È un soldato, ha prestato giuramento e deve obbedire agli ordini dei suoi superiori. Se gli si dice che la guerra, cioè l’uccisione di uomini, non rispetta il comandamento “non uccidere”, questi dirà: “E quindi che si fa quando viene attaccato lo zar, la fede ortodossa?” (Uno mi ha detto, in risposta alla mia domanda: “E se attaccano quanto abbiamo di sacro? – Cioè? – La bandiera”). Se si cerca di spiegare a un soldato del genere che il comandamento di Dio è più importante non solo della bandiera, ma di qualsiasi altra cosa al mondo, si zittisce o si arrabbia e ti denuncia ai superiori. Se chiedete a un generale perché va in guerra, vi risponderà che è un soldato e che l’esercito è indispensabile per la difesa della patria. Il fatto che l’omicidio non sia conforme allo spirito della legge cristiana non lo turba. Ma più di tutto il generale, come il soldato, invece di rispondere in maniera personale alla domanda “cosa si può fare?”, tirerà sempre in ballo lo Stato, la patria.
Chiedete ai diplomatici, che con i loro raggiri creano terreno fertile per la guerra, perché lo fanno. Vi diranno che il loro obiettivo è instaurare la pace tra le nazioni, e che tale obiettivo non si persegue con teorie idealistiche e irrealizzabili, ma attraverso la diplomazia e la vocazione alla guerra. Così come i militari rispondono in modo generico anziché personale, allo stesso modo i diplomatici parlano degli interessi della Russia, della malafede delle altre potenze, dell’equilibrio europeo, e non della loro vita e delle loro attività. Se si chiede ai giornalisti perché incitano la gente alla guerra con i loro articoli, essi diranno che le guerre in generale sono necessarie e utili, soprattutto quella attuale, e confermeranno questa opinione con vaghe frasi patriottiche. Tutti i promotori della guerra giustificheranno in questa maniera il proprio coinvolgimento. Potranno anche essere d’accordo sul fatto che sarebbe auspicabile stroncare la guerra, ma affermeranno che ormai ciò è impossibile, poiché loro, come russi e come persone che occupano le ben note posizioni di leader, cittadini, medici, volontari della Croce Rossa, sono chiamati ad agire, non a teorizzare.
Lo stesso dirà lo zar, che sembrerebbe essere l’artefice dell’intera vicenda. Non vuole nemmeno prendere in considerazione l’idea di fermare il conflitto. Dirà che non può non fare ciò che l’intera nazione gli chiede; sebbene riconosca la guerra come un grande male, e abbia usato e sia pronto a usare tutti i mezzi per fermarla, date le circostanze attuali non poteva non dichiarare guerra e non può non portarla avanti. È necessario per il bene e la grandezza della Russia.
Alla domanda sul perché lui, o Ivan, o Pietro, o Nicola, pur riconoscendo il dovere imposto dalla legge cristiana di non uccidere il prossimo, ma amarlo e servirlo, si permettano di partecipare a un conflitto, ossia di commettere violenza, rapina o omicidio, tutte queste persone risponderanno sempre che lo fanno in nome della patria, o della fede, o dell’onore, o della civiltà, o del bene futuro di tutta l’umanità, qualcosa di astratto e vago. Inoltre, tutte queste persone sono sempre così impegnate nei preparativi per la guerra, o negli ordini o nelle considerazioni su di essa, che nel tempo libero possono solo riposare dalle loro fatiche e non hanno tempo per discutere della loro vita; lo ritengono ozioso.