il Giornale, 18 maggio 2023
Fiumi, 9 milioni di italiani a rischio
Il torrente Ravone ha trasformato via Saffi, nel pieno centro di Bologna, in un fiume. «State ai piani alti» gridavano ieri mattina i vigili del fuoco coi megafoni mentre percorrevano le vie allagate. Sono 21 i corsi d’acqua esondati, anche in più punti, in Emilia Romagna: Idice, Quaderna, Sillaro, Senio. Un elenco di fiumiciattoli sconosciuto ai più che ha avuto la forza di devastare tutto. Trasformati in una furia d’acqua in 48 ore appena. Il problema è che tutti i fiumi italiani potrebbero rappresentare un pericolo. Anche quelli che in questi mesi sono quasi del tutto «evaporati». In Italia 9 milioni di persone sono a rischio alluvione: abitano cioè in territori indicati come potenzialmente pericolosi. Ecco, in questo elenco nessuno avrebbe mai pensato di trovarci pure il centro di Bologna. Eppure. L’Emilia Romagna, assieme a Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Calabria, è tra le aree più esposte, in cui le percentuali di territorio potenzialmente allagabile risultano superiori alla media nazionale. A ricostruire la mappa del rischio allagamenti è il rapporto 2021 sul Dissesto idrogeologico in Italia scritto da Ispra e dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente: oltre 200 pagine di studio che fotografano il pericolo a cui può andare incontro il territorio nell’arco di oltre cento anni. «In base alla mappa, il 45% del territorio dell’Emilia Romagna è a rischio alluvioni» calcola Lorenzo Benedetto, consigliere nazionale dei geologi. L’area (potenzialmente) più pericolosa riguarda 13mila chilometri quadrati in Emilia. In Italia si estende a 46mila chilometri quadrati, di cui a rischio elevato 16.200 chilometri quadrati. Che la rete dei fiumi percorra l’Italia come un «sistema circolatorio» capillare è un bene, ma non lo è il fatto che non sia in grado di far fronte alle bombe d’acqua sempre più frequenti. «Siamo pronti a un piano nazionale per affrontare le piogge abbondanti e i lunghi periodi di siccità, perchè occorre una rilettura del territorio. Lavoreremo con gli altri ministeri e sarà possibile realizzarlo entro otto mesi o un anno» dichiara il ministro della Protezione Civile Nello Musumeci. Sul rischio idrogeologico «si parla tanto di prevenzione, ma non si ha mai un cambio di rotta sulle politiche. Si conosceva l’elevata pericolosità di quella parte di regione, i piani anti-alluvione certificano i rischi di quelle zone – denuncia il presidente dell’Ordine dei Geologi, Francesco Violo – Va fatta una programmazione pluriennale degli interventi. Spesso non mancano neppure i soldi, ma si perde moltissimo tempo per lungaggini burocratiche e ridondanze nei procedimenti. Bisogna agire stabilendo le priorità, scegliendo le aree a maggior rischio». Per questo, oltre ai 2mila piccoli e medi invasi a ridosso dei fiumi e dei torrenti (di cui 300 con progetto esecutivo già pronto), l’Associazione nazionale bonifiche e Coldiretti hanno progettato il cosiddetto «piano laghetti»: 10mila vasche (di cui 6mila aziendali e 4mila consortili) per gestire i fiumi italiani. Inizialmente con lo scopo di rendere più intelligente il sistema di irrigazione. Ma – e ora ce ne rendiamo conto più che mai – anche per fare da valvola da sfogo in caso di ondate di maltempo come questa. Se di fianco ai torrenti ci fosse stata quella che i tecnici chiamano «area di allagamento», l’impatto violento dell’acqua sarebbe stato mitigato. E sarebbe stato più semplice anche conservare l’acqua per i tempi di siccità.