La Stampa, 18 maggio 2023
Da piccini siamo grandi e da grandi siamo piccini
Incredibile: è uscito uno studio coordinato dal Boston College che giudica molto positivamente le capacità d’apprendimento dei bambini italiani. Incredibile perché, quando arrivano ricerche di questo genere, di solito ne veniamo fuori malissimo. L’ultima, la classica dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) pubblicata a fine 2021, segnalava le difficoltà dei nostri quindicenni in matematica (appena sotto media), comprensione del testo (sotto media) e materie scientifiche (molto sotto media). E però la sconsolante posizione in classifica dipendeva soprattutto dagli adulti, che sono sempre lì a lamentarsi dei giovani d’oggi, e non sanno dell’abbassarsi delle performance più si alza l’età: quasi il quarantotto per cento degli italiani compresi fra i venticinque e i sessantaquattro anni possiede al massimo la licenza media. Per dire: in Francia e Regno Unito è poco meno del venti e del diciannove, in Germania è il tredici. La ricerca precedente (2019) indicava intorno al venti per cento i quindicenni incapaci di comprendere un testo, percentuale che negli adulti saliva al quarantasei. Tecnicamente: analfabetismo di ritorno. Ora lo studio di Boston sui bambini di nove anni: un impegno enorme che ha coinvolto nel mondo 400 mila studenti, 380 mila genitori, 20 mila insegnanti. I nostri piccoli hanno una comprensione del testo superiore alla media europea, battuti solo dagli scandinavi, e più alta di quella dei loro coetanei tedeschi, spagnoli, francesi e inglesi. Insomma: da piccini siamo grandi e da grandi siamo piccini. È proprio vero che italiani non si nasce, si diventa.