Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  maggio 18 Giovedì calendario

Intervista a Julian Barnes

Julian Barnes, tra i massimi scrittori inglesi viventi, complimenti per il Premio letterario internazionale Mondello che riceverà oggi al Salone del Libro di Torino. Ma questo, qui nella sua casadi Londra nord, è il suo studio?
«Grazie! Sì, lo è».
Perché le pareti tutte gialle?
«Mi ricordano lo splendere del sole. Sono così da 40 anni. Prima ero in fissa con un’altra tonalità».
Quale?
«Il verde scuro: colore calmo, lo utilizzavano negli ospedali per le donne incinte, per tranquillizzarledurante il travaglio. Ma poi ho capito che è il giallo il colore della creazione letteraria, a differenza della creazione umana».
Lei spesso divide i suoi romanzi in parti e tematiche. Oggi, a 77 anni, in che capitolo è della sua vita?
«Qualche tempo fa viene a intervistarmi una giornalista belga, che mi provoca: “Lei ha 77 anni, è bianco e non vincerà mai il Nobel.
Come si infuria, contro il morire della luce?”».
Citazione di Dylan Thomas… E lei come le ha risposto?
«Citando l’albanese Ismail Kadare: 87 anni, ha scritto un capolavoro come Il generale dell’armata morta e forse pure lui non vincerà mai il Nobel…».
Beh, meglio dello scherzo che ignoti fecero a John Banville, facendogli credere di averlo vinto.
«Ah, davvero? Ma fa niente, il Nobel è come il bingo».
Però lei nel 2011 vinse il Booker Prize per il meraviglioso “Il senso di una fine”.
«Eh già… ma ho una storia ancora più bella».
«Hugo Claus, lo scrittore belga, preferiva sempre non essere a casa il giorno in cui assegnavano il Nobel. Nel 1994, però, andò a trovare a casa in Giappone Kenzaburo Oe. E chi vinse?».
Kenzaburo Oe!
«Già. Povero Claus. Morì di eutanasia nel 2008. Ai primi stadi di Alzheimer chiese ai suoi amici di farlo morire quando avrebbe perso la testa. Fece la cosa giusta».
Farebbe anche lei lo stesso?
«Spero di avere lo stesso coraggio, se mi ritroverò in una situazione simile. Certo, qui è vietato. Dovrei andare a morire in Belgio o in Svizzera».
Ha paura della morte?
«Di più quando ero giovane. Fino a 10 o 15 anni fa mi svegliavo in piena notte e urlavo, credendo di morire.
Oggi ho un approccio più filosofico: i miei amici muoiono di continuo, cancello i loro nomi dall’agenda, non ci sarà un’altra vita. Meglio godersi questa. E poi alla mia età si è già detto addio alla giovinezza, non fa tantadifferenza…».
Ma alla sua età cosa fa la differenza?
«Ho scritto oltre venti libri, di cui 14 romanzi, ma sono sempre a un bivio: è più facile perché accumuli esperienza, ma temo di diventare ripetitivo. In ogni caso, come diceva mia moglie nonché mio agente letterario Pat Kavanagh morta nel 2008, smetterò solo se troveranno un altro termine per “pensione”. Oppure se l’editore mi scaglierà spalle al muro per dirmi: “Basta, non puoi piùfare questo mestiere!”».
E l’amore, che pervade tutta la sua letteratura, come è cambiato senza la sua adorata Pat?
«Come diciamo in Inghilterra, mind your own business… (ride, ndr)” Ma non volevo farmi gli affari suoi. Filosoficamente, s’intende.
«Quando si è innamorati, si comprendono meglio la vita e il mondo, ed è il mio caso anche oggi. L’amore non è mai una fuga ma una strada verso la verità».
Questo lo scrisse anche in “Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2” quando cita “La zattera della Medusa” di Gericault.
«Oh no! Allora vede che forse mi ripeto?».
Ma no. A proposito di verità: teme che l’intelligenza artificiale (IA) possa soppiantarla?
«No. Distorsioni della verità ci sono sempre state nella Storia, dagli imperi, alla Chiesa a Machiavelli. Cambiano solo i mezzi, certo preoccupanti.
Almeno, i whistleblower non moriranno mai. E poi la verità oggettiva al 100% non esiste, come scriveva George Orwell. Ma certo il 66% è meglio del 55%, non crede?».
Lei però è figlio di insegnanti, scuole e università fanno spesso da sfondo ai suoi romanzi: non teme che le nuove generazioni imparino sempre meno con la IA?
«Mi spaventano di più i debiti che oggi devono accollarsi i giovani per andare all’università, o che sempre meno inglesi studino le lingue straniere. C’è un impoverimento collettivo in Inghilterra: capita ai Paesi isolazionisti…”.
Beh, il suo “England England” è anche una straordinaria profezia della Brexit, con l’Inghilterra fuori dall’Ue destinata a un arido declino…
«Difatti sono sempre stato un europeista convinto e Brexit è stata sancita da un referendum dopo una campagna disonesta. Piuttosto, ha visto l’incoronazione di Carlo?».
Certo.
«Che cosa assurda: una pantomima alla Lewis Carroll. Ma anche tanta umanità dietro lo sfarzo. Sono un repubblicano ma ho seguito i funerali della Regina e l’incoronazione del re dal primo all’ultimo secondo. Perché, in fondo, sono una Royal Family con tanti difetti e debolezze. Come noi».