la Repubblica, 18 maggio 2023
Cosa dicono al Pd le amministrative
Benché la novità costituita da Elly Schlein non si sia avvertita, almeno non ancora, le elezioni comunali hanno offerto qualche segnale di risveglio di un elettorato in cerca di buoni motivi per tornare a sostenere il Pd.
Al tempo stesso abbiamo visto come i dati pongano al vertice del Nazareno alcuni nodi politici che dovranno essere sciolti senza troppi rinvii. Il primo riguarda il percorso di questa legislatura, che si conferma stabile e dominata da una maggioranza di destra-centro, con Giorgia Meloni in grado di rimanere a Palazzo Chigi – salvo incidenti clamorosi – nei prossimi anni. Il lavoro di ricostruzione della sinistra, o meglio di un’identità chiara del maggior partito della sinistra, non può ignorare tale aspetto: non sarà una corsa veloce e breve, bensì lenta e lunga. Non i cento metri, ma la maratona.
Può essere un grande vantaggio, a patto di essere consapevoli che in questo caso la strategia è più importante della tattica.
In secondo luogo diventa cruciale saper leggere le cifre di lunedì sera. Soprattutto a Brescia e Vicenza, dove ha ottenuto una vittoria al primo turno e un ballottaggio con buone prospettive, il Pd si afferma con figure molto legate al territorio, come si dice oggi: cioè con salde radici nella città, rispettose delle regole di una buona amministrazione.
Figure che rispecchiano una tradizione antica, abbastanza lontane dagli ideologismi e dalle campagne rivolte a piccole minoranze. Brescia, in particolare, è un centro in cui si sono incontrate in passato le migliori energie laiche e cattoliche: è evidente che da questo intreccio deriva un certo rapporto tra le istituzioni e la cittadinanza. Un vincolo che la destra ha provato a spezzare senza successo. Il punto è se il centrosinistra che vince a Brescia, e il 28 maggio potrebbe ripetersi a Vicenza, assomiglia al partito di Elly Schlein ovvero se è un fenomeno locale distinto da quello che accade a Roma.
Più in generale, sembra che il Pd abbia riguadagnato consensi un po’ ovunque a scapito dei Cinque Stelle. Il che è comprensibile: le elezioni comunali sono un terreno poco propizio, salvo eccezioni, al partito di Conte e al suo populismo. Tuttavia si dimostra che il travaso dei voti avviene più che altro all’interno dello stesso recinto.
L’autentica ripresa del centrosinistra ci sarà quando la sua proposta verrà compresa e apprezzata al di fuori del perimetro in cui sono racchiuse varie sigle, comprese numerose liste civiche. Al secondo turno è plausibile che questi elettori siano disposti a sostenere il candidato del Pd: semmai ci sarà il problema di spingerli alle urne, senza cedere alla tentazione dell’astensione.
Ma la vera questione politica riguarda il dopo. Il centrosinistra a guida Pd avrà un futuro se riuscirà a definire un profilo convincente, fondato su un’idea di società in grado di rappresentare la complessità dell’Italia attuale e al tempo stesso rassicurare i ceti medi senza i quali non si vincono le elezioni. È questa la prova che attende Elly Schlein e finora la neo segretaria non ha avuto il tempo di cimentarvisi.
Peraltro anche le elezioni dell’altro giorno, pur parziali e frammentate, lasciano capire quale sia l’ostacolo. Fare un appello all’unità di tutti contro le destre può essere efficace come slogan, ma finora si è rivelata una tattica poco lungimirante.
I 5S di Conte sono forse una costola della sinistra, ma hanno poco da condividere con coloro che si definiscono “riformisti” dentro e fuori il Pd. Vale a dire le correnti critiche che temono – magari a torto – una deriva, una ricerca del rapporto privilegiato con Conte. Con il rischio che questi alzi il prezzo politico e costringa il Pd ad accogliere la sua piattaforma, cioè i suoi programmi e di fatto la sua leadership. Se l’obiettivo sono i ceti medi, come a Brescia e Vicenza, questa sarebbe la ricetta sbagliata.