la Repubblica, 18 maggio 2023
Anche Arrigo Sacchi è andato ai piani alti. Un’intervista che spazia dall’alluvione al calcio passando per mele marce e Giulio Cesare
Guardare una specie di oceano marrone agitarsi dietro le finestre, senza però essere al mare. Averne paura, e un attimo dopo amarezza. Quando si dice Arrigo Sacchi si pensa subito alla sua Fusignano,Fusgnã in romagnolo, il paese del ravennate dove uno dei più grandi allenatori di calcio del mondo ha costruito la sua epopea. Tutto sommerso, anche lì. Arrigo guarda oltre quei vetri e cerca di interpretare il modulo, lo schema di questa partita insensata.Qual è la situazione, mister?«L’altra sera stavo ovviamente guardando Inter-Milan in tivù, ed è arrivato l’ordine di salire ai piani alti delle case per metterci al sicuro. L’ho fatto anch’io, immediatamente: qui bisogna essere in forma per forza».Ha avuto molta paura?«Quando si arrabbia, la natura è sempre più forte di noi. A Fusignano scorre il Senio, che non sarà il Mississippi ma in questi giorni non c’è mica da scherzare.Stiamo vivendo un’alluvione che mi ha risvegliato quello che forse è il primo ricordo della vita: ho tre anni, e mi caricano sul tubo della bicicletta per portarmi a guardare il fiume che è uscito dall’argine.Rivedo quella scena perfettamente, in ogni dettaglio, come se fosse avvenuta poche ore fa. Ricordo i sacchi di sabbia, un muro per fermare almeno un po’ quel disastro».Ma adesso, quanto vi sentite in pericolo?«Alle sette di stamattina, qualcuno se l’è vista brutta. Io sono uscito verso le undici e la situazione era appena migliore. Qui basta spostarsi di quattro o cinque chilometri e tutto cambia. A Maiano Monti, il paese di Vincenzo Monti dove ci sono ancora i suoi famosi tigli, stanno più all’asciutto di noi. Ma se si va ancora oltre, un altro canale è esondato e si è mangiato cinquanta metri di sponda vicino a un forno, una cosa impressionante. A un certo punto volevo andare a controllare in che stato sono dei terreni che ho da quelle parti, però i carabinieri mi hanno bloccato».Ora cosa vede dalla sua finestra?«Il fiume scuro e arrabbiato, a poche centinaia di metri da qui. A meno di dieci chilometri è uscito tutto. E non smette di pioverenemmeno per un minuto. Viene un nodo alla gola».Se l’aspettava?«Siamo un Paese vecchio, dove prevenzione e merito sono parole sconosciute. In Italia nessuno sa fare squadra. Conosco Bonaccini, bravissima persona, ma in due o tre anni non si può rimediare a secoli di assenza. Nessuna cura delle sponde e della natura, tutto dovutoe va bene finché dura. Pensiamo di essere sempre i più furbi, invece siamo una nazione piena di debiti.Non c’è quasi mai un progetto, non c’è strategia, solo tattiche improvvisate: come nel calcio. Però è stata la mia fortuna: io facevo cose semplicissime, ma paragonate a quelle degli altri passavano per rivoluzionarie».C’è qualcosa che la ferisce di più,guardando la sua Romagna martoriata?«Ripenso a quando conobbi l’alcalde di Madrid. Gli chiesi: come fate ad avere tutti questi soldi? Lui mi rispose: “Ce li dà l’Europa, invece voi italiani neanche li chiedete”. Vedrete che andrà così anche con il Pnrr, ho già vinto una cena con un mio amico, ho scommesso che non arriverà nulla.E poi, non sappiamo più costruire: ad Ascoli ci sono fabbricati di epoca romana che hanno resistito a qualunque terremoto. E a Rimini abbiamo ancora ben saldo il ponte di Tiberio. La cultura del bacino del Mediterraneo illuminò il mondo, duemila anni fa: e adesso?»Sacchi, la sentiamo molto pessimista.«Sarà che comincio ad avere i miei anni, però conosco anche troppo bene i difetti degli italiani, che purtroppo sono molto più numerosi dei pregi che pure non mancano. Mi addolora un Paese che paga troppo poco gli insegnanti e cerca sempre le scorciatoie e le colpe degli altri. Mio padre Augusto, decorato di guerra sugli aerosiluranti, un vero pragmatico lombardo, mi insegnò varie cose. La prima: saper distinguere le mele marce che guastano tutte le altre, e imparare a scegliere le persone».Ma alla fine, il derby di Champions è riuscito a vederlo?«Eh, ho portato il tablet al secondo piano, mi sono arrangiato, il segnale andava e veniva. Non che ci fosse un granché da guardare: una Ferrari contro una Cinquecento!Questo è il Milan, adesso, una squadra di ragazzi sconosciuti che fanno quel che possono. Ma anche così hanno vinto uno scudetto e sono arrivati in semifinale di Coppa dei Campioni: due anni fa, nessuno ci avrebbe scommesso un soldo».Arrigo, il calcio è sempre al centro dei suoi pensieri?«Sì, anche se vedo troppa individualità e troppo difensivismo: lo sport riflette sempre la cultura di un Paese. Giulio Cesare conquistò la Gallia con 50 mila guerrieri contro 5 milioni, perché sapeva fare squadra. Che grande allenatore di uomini! Forse avremmo dovuto inventare il gioco del calcio al tempo dei Romani: per lo meno, avremmo attaccato sempre».