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 2023  maggio 18 Giovedì calendario

L’alluvione raccontata da Romagnoli

Questa terra non è più la mia terra e non è più la tua terra. Dalla Riviera Adriatica all’Appennino è un impasto di melma che cancella i contorni e invade gli spazi, fa scendere le colline e salire i fiumi. È un disegno sconosciuto, nascosto sotto l’acqua. Ci spaventa non vederlo, ci preoccupa scoprirlo. Potremmo non riconoscere più la geometria che abbiamo dato per scontata e immutabile: i piani tendenti all’infinito, i segmenti e gli archi di collegamento, la curva delle insenature. Questa era la mia terra e questa era la tua terra: per coltivarla, attraversarla, passarci una vacanza sotto il sole. Ci vorrà tempo perché torni ad esserlo, ma quanto poco ce n’è voluto per cambiarla. Quattro immagini, fra le altre, raccontano simbolicamente che cosa è avvenuto in Emilia-Romagna in una primavera sfuggita al calendario.
Collina inghiottita
L’espressione “mancare la terra sotto i piedi” non avrà mai più un senso figurato per gli abitanti di Tezzo di Sarsina. Centinaia le frane, ma questa è accaduta in diretta e se un albero cade e tutti lo vedono e lo sentono, fa rumore eccome. Un grido, la strada si spacca. La collina le scivola dentro, gli alberi si inclinano e spariscono insieme con l’asfalto e la terra.
È una scena che resta negli occhi, ma parla alla mente evocando il mondo di sotto, una dimensione oscura che può aprire la sua bocca, fagocitare la realtà e richiudersi, nascondendola per sempre. È l’ordine delle cose che si frantuma senza preavviso con una facilità impensabile, l’implosione di masse che determina un buco nero, ma non in una galassia lontana lontana: tra Forlì e Cesena.
Il ponte spezzato
Se non fosse rimasta in piedi una campata, il ponte della Motta sarebbe svanito in una parentesi, rimasta aperta, ma senza nulla dentro. Non un tratto, soltanto acqua che scorre tra due rive in provincia di Bologna che a nessuno era venuto in mente di unire. Quello slancio nel vuoto invece racconta lo scioglimento di un abbraccio, la frattura di una comunità.
Ogni ponte è una storia, di cui è protagonista. Gli uomini che lo costruiscono o ci passano sonosoltanto comprimari, accidenti della trama, affluenti della vicenda principale che è la vita del ponte stesso. Il ponte è il necessario capitolo di una umanità altrimenti divisa. Se cade, la Storia si ferma, arretra e si torna sulla sponda a immaginare un nuovo ponte.
Gli uomini sospesi
Ce ne sono stati in molti cieli: sopra l’autostrada A14 allagata, o involo dai tetti di case immerse in un lago che non dovrebbe esistere. Sembrano personaggi di un quadro di Magritte (Golconda). A differenza loro, non piovono: hanno ricevuto la pioggia e ora salgono in direzione contraria, come gocce d’acqua risucchiate dal vento su una superficie di vetro. Si fatica a notare il cavo che li regge, ma si nota una presenza, una seconda figura, che li tiene stretti dopo averli afferrati sul precipizio di un destino avverso. Automobilisti dirottati dal viaggio di lavoro, pensionati evasi da un abbaino, cameriere che non avevano mai visto l’ultimo piano della stazione di servizio, mai il mondo dall’alto, e chi lo immaginava così terribile.
Le barche in fuga
Sembra l’avvio di una regata. Il colpo dello starter è un tuono lontano. Poi le vele filano via, lungo il molo di Gatteo a Mare, slegate dagli ormeggi. È una fuga, fuori da ogni controllo. La rotta di una barca è il simbolo del governo umano: la decide il timoniere, la corregge, se del caso la inverte. La barca che corre da sola è più che un cavallo scosso, perché non ha volontà propria, è preda degli eventi, che ne hanno preso il timone. Non ci si prepara mai abbastanza per questo. Nella nostra immaginazione il futuro è un succedersi placido di esperienze già verificate, può richiedere al massimo adeguamenti. Soprattutto in un luogo di villeggiatura, uno specchio d’acqua che non conosce tempesta eppure si mostra come un luna park devastato. Un turista tedesco (Herr Harling, da Monaco) intendeva festeggiare quest’anno il mezzo secolo esatto di vacanze ininterrotte, nello stesso albergo di Riccione, stessa camera, stessa vista dalla finestra: ombrelloni allineati, spiaggia ripianata al tramonto per cancellare ogni orma. In due giorni è accaduto quel che non era mai successo in cinquant’anni.