Corriere della Sera, 18 maggio 2023
Il puzzle dell’economia cinese
La crescita economica della Cina sta diventando un puzzle. La gran parte di noi è abituata a vedere il Prodotto interno lordo del Paese aumentare da decenni a ritmi straordinari: in media del 9% l’anno dal 1978, quando l’allora «leader fondamentale» Deng Xiaoping aprì l’economia al resto del mondo e all’attività privata. «Più di 800 milioni di persone sono uscite dalla povertà», ha registrato di recente la Banca mondiale. Ciò che oggi confonde sono le prospettive. L’anno scorso, l’economia cinese è cresciuta del 3% e quest’anno l’obiettivo ufficiale posto dal governo è il 5%. I dati più recenti sull’attività fanno pensare che il rallentamento rispetto all’andamento storico possa essere anche superiore al previsto. Rispetto al 2022, quando il Pil era cresciuto poco a causa soprattutto dei lockdown anti-Covid, ci si aspettava un rimbalzo forte. Invece, in aprile le vendite di beni di consumo sono state del 7,8% in più del mese precedente contro aspettative del 21,7%. Il valore aggiunto delle imprese industriali è cresciuto del 5,6% rispetto a un anno prima, lontano dal 9,6% previsto. Quello che più preoccupa è la continua crescita della disoccupazione tra i giovani dai 16 ai 24 anni, in aprile arrivata al 20,4%, superiore al 19,9% che era il record precedente registrato nel 2022: con l’ondata di laureati che usciranno dalle università a luglio ci si attende un ulteriore aumento in estate. Gli economisti della banca giapponese Nomura non sono ottimisti: «Via via che la delusione prende piede – sostengono – vediamo un rischio crescente di spirale al ribasso che può risultare in dati sull’attività più deboli, in crescita della disoccupazione, in disinflazione persistente, in caduta dei tassi d’interesse di mercato e in valuta più debole». È un rallentamento di fase oppure la Cina non è più in grado di raggiungere alti livelli di crescita e si stabilizzerà sul 2-3% annuo come qualcuno ritiene? C’è un dato, che può dare un’indicazione: il debito complessivo – pubblico e privato – ha toccato i 51.900 miliardi di dollari, circa il 290% del Pil. È il segno che la crescita fondata sugli investimenti massici dei decenni scorsi non potrà continuare. Va sostituita con consumi privati sempre maggiori: si può fare sotto il rigido controllo dell’economia da parte del Partito Comunista? Qui sta forse la soluzione del puzzle.