il Fatto Quotidiano, 17 maggio 2023
Intervista a Mr.Rain
Mr.Rain, è proprio il suo anno.
Intende dire perché piove?
Non smette più. Ma è vera la storia o è una leggenda promozionale?
È vera. Riesco a scrivere canzoni solo quando cade l’acqua dal cielo. Tutti i miei brani pubblicati sono nati così.
Con il meteo sfavorevole.
Riesco a scavarmi meglio dentro. La tristezza esce con le precipitazioni, mi rende sincero.
Al Concertone s’era sentito a casa.
Mi avranno odiato. Io l’unico felice nel nubifragio.
Anche il nuovo singolo La fine del mondo, con ospite Sangiovanni, è frutto di qualche temporale?
Sì, veniva giù che Dio la mandava. L’ho proposta a Sangio, che con il suo intervento l’ha molto migliorata.
Mr.Rain, alias Mattia Balardi. Questo fattore-pioggia sarà ghiotto per il suo analista.
Be’, tiro fuori tutto quel che ho componendo canzoni. Se non posso farlo perché c’è il sole, per me diventa frustrante. La musica è la mia terapia, mi permette di alleggerire il peso che preme dentro,
Con Supereroi si è tolto un bell’ingombro, allora.
La terapia è cominciata dopo che tre o quattro anni fa ho deciso di voler superare un periodo molto cupo. Mi ero costruito una prigione immaginaria. Pensavo di essere l’unico al mondo a soffrire per certe cose. Una situazione surreale. Mi sentivo incompreso, solo. Malgrado la mia fidanzata e la mia famiglia mi facessero sentire il loro affetto.
Non è facile aprirsi, in simili frangenti.
Mi vergognavo a raccontare come stavo, ero convinto di essere fuori luogo in questo mondo. Finché non ho preso di petto i pensieri, ho guardato le cicatrici emotive e affrontato i mostri. Mi stavo rovinando i rapporti con gli altri. Dovevo smetterla di fare le cazzate.
Gli eccessi, i sostegni chimici?
C’è voluto coraggio, lo ammetto. Se avessi capito prima certi meccanismi avrei guadagnato dieci anni di vita più sereni. Meglio tardi che mai.
A Sanremo ha capito che i supereroi come lei erano tanti?
Me ne sono reso conto quando si sono spente le telecamere. Ci ho messo un mese a elaborare il Festival. Ok, non mi aspettavo il podio e tutta quell’attenzione. Ma la vittoria personale, a prescindere dai dischi di platino, è stata nei messaggi di quanti, dalle scuole, dagli ospedali, dalle loro case avevano provato lo stesso tipo di disagio, e che stimolati dal mio esempio si sono sentiti spinti a uscire dalle gabbie delle loro menti. Posso aver dato un piccolo contributo alla speranza altrui.
Senza rischio di diventare mitomani.
Viaggio su altre strade, l’autoesaltazione non mi appartiene.
Pratica boxe. Chi prende a pugni?
Me stesso.
E?
Non ho nemici. Ma chiederò all’analista.
Sogna il ring?
Non ho il mito di Alì. Non sono un combattente. Il pugilato mi serve per disciplinarmi. Da adolescente ho provato altri sport, ero inconstante. Ora ho un personal trainer che un paio di giorni alla settimana mi costringe a incrociare i guantoni. Ho solo problemi di agenda, di questi tempi. Ho chiuso un tour sold out nei club, da giugno i concerti estivi, sarò in giro fino a novembre. Con un pubblico non solo di bambini o di ragazzi. Ho visto molti cinquantenni.
Non è un idolo generazionale. E ha una madre molto giovane.
Mi ebbe quando aveva 17 anni. Era venuta in Italia in vacanza dalla sua Svezia. Con lei riesco a confidarmi, la vedo più come un’amica. Però mi ha dato regole rigide.
La incoraggiò nei primi tentativi artistici o era preoccupata?
Le cantavo le cose di Eminem. Poi presi a scrivere pezzi miei. Erano come lettere per i miei genitori.
Ricorda il primo?
L’ho perso.
Dove?
Vorrei saperlo! L’ho cercato ovunque, ho frugato in cassetti e in hard disk. Ho chiesto indizi agli amici. Niente.
Di che parlava?
Zero, non ricordo niente. Sono smemoratissimo.
Soluzione?
Nei giorni di pioggia torno a chiudermi nel mio studio casalingo, a Milano. Porto avanti il lavoro sul disco, che uscirà a fine anno. Magari per allora la mia prima canzone mi sarà tornata in mente.