il Giornale, 17 maggio 2023
L’inerzia sul maltempo costa 7 miliardi l’anno
Due giorni di pioggia battente si trasformano in alluvione, torrenti in secca fino a un mese fa di colpo travolgono paesi interi. Il maltempo non è più ordinario ma sempre più spesso catastrofico. Tanto che ci costa 7 miliardi di euro all’anno. La stima è dell’ex capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e, a detta dei tecnici, è addirittura al ribasso se si calcolano i danni alle persone, alle case, ai ponti, alle infrastrutture, all’agricoltura e tutte le voci che non finiscono nella richiesta di rimborsi ufficiali. Giusto per dare una proporzione: in questa tranche di maltempo in Emilia Romagna si calcolano 300 milioni di euro di danni subiti solo dalle attività agricole e dalle infrastrutture. Sott’acqua sono finiti ettari di terreno coltivato a kiwi, susine, pere e mele ma anche cereali, vivai, ortaggi, allevamenti, macchinari di lavorazione ed edifici agricoli. Per l’alluvione di Senigallia dello scorso settembre sono stati stanziati 96 milioni di euro. La frana di Ischia è costata 2 milioni. E via di questo passo. Contando che, solo nel 2022, in Italia ci sono stati 104 allagamenti, 81 trombe d’aria e raffiche di vento, 18 mareggiate, 13 esondazioni fluviali, 11 casi di frane causate da piogge intense, 8 casi di temperature estreme in città, il conto è presto fatto. Non solo. C’è un costo nel costo. Quello dell’acqua perduta. L’acqua che ha spazzato via le auto e allagato i campi è la stessa che avrebbe potuto salvare città e agricoltori dal rischio siccità di questa estate. La soluzione sta ancora una volta negli invasi, parola chiave per mitigare i pericoli di siccità e alluvioni. «Se ci fossero stati gli invasi, gran parte dell’acqua caduta in questi giorni in Emilia Romagna sarebbe stata raccolta e avrebbe limitato i danni – spiega Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti – Lo studio, firmato dall’associazione nazionale bonifiche, c’è dal 2017 ma è stato realizzato solo in parte. E pensare che se fossero stati pronti due invasi in fase di costruzione, vicino a uno dei torrenti romagnoli esondati, parte di questo disastro sarebbe stato evitato». Il piano Anbi prevede 2mila piccoli e medi invasi disseminati in tutta Italia, spesso in corrispondenza di cave già esistenti. Un progetto da 20 miliardi in 20 anni, pensato ben prima dell’opportunità dei fondi del Pnrr ma mai realizzato. Detto questo, anche interventi di ordinaria amministrazione avrebbero reso meno disastrosa la portata dell’acqua. «Paghiamo il prezzo di un eccesso di cementificazione – aggiunge Bazzana – di una mancata pulizia dell’alveo dei fiumi. I fondali non vengono dragati e molto spesso manca la pulizia sotto i ponti. Si accumulano legnami e foglie e tutto questo impedisce all’acqua di defluire e ai terreni di poterla assorbire». Se un campo viene sommerso d’acqua marcisce, soprattutto se l’acqua che di solito arriva in 5 o 6 mesi arriva in 48 ore. «Il problema in cui incappiamo da sempre – sostiene Francesco Ballio, professore di Ingegneria per l’Ambiente e il territorio al Politecnico di Milano – è l’incapacità di programmare a lunga scadenza. Quando arrivano dei soldi, c’è la corsa per spenderli tutti in una volta e non ne rimangono per impostare il monitoraggio e la manutenzione delle opere. Non ripetiamo lo stesso errore con il Pnrr: per la prima volta abbiamo la possibilità di pianificare investimenti su scala nazionale, non è un’occasione da sprecare».