La Stampa, 17 maggio 2023
Perché per Zelens’kyj il papa non può fare da mediatore
La diplomazia del Vaticano nel raggiungimento di un cessate il fuoco nella guerra tra Russia e Ucraina è fallita ancor prima di cominciare. Fin dall’inizio del conflitto, Papa Francesco si è impegnato nella mediazione tra i due Stati, concentrando i propri sforzi principalmente su questioni umanitarie, quali la facilitazione degli scambi di prigionieri. Inoltre recentemente, il Papa ha manifestato la sua disponibilità ad aiutare le autorità ucraine nel processo di rimpatrio di migliaia di bambini deportati per mano dei russi dall’Ucraina verso la Russia, un crimine che ha portato la Corte Penale Internazionale ad emettere un mandato di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin.
Pochi giorni fa, al ritorno dall’Ungheria, il Papa ha affermato che era in corso una diplomazia segreta per mediare tra le parti del conflitto. Le reazioni, sia da Mosca che da Kyiv, sono state di negazione e di irritazione. Mykhailo Podolyak, consigliere del capo dell’ufficio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha dichiarato: «A noi non risulta alcuna diplomazia o mediazione in corso per raggiungere un tavolo dei negoziati. Se qualcosa sta accadendo di nascosto alle nostre spalle, è assolutamente inaccettabile».
Poco dopo, il Presidente Zelensky giunge in Italia, come parte del suo tour europeo, con i seguenti obiettivi ben definiti: rafforzare l’alleanza militare con i partner occidentali, chiedendo l’invio di nuove armi; garantire il loro sostegno per avviare i negoziati sull’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea e ottenere il loro appoggio per il summit della Nato a Vilnius, dove Kyiv attende segnali concreti per avvicinare l’ingresso dell’Ucraina all’alleanza transatlantica. In questo contesto, l’incontro con Papa Francesco è puramente simbolico, un’occasione per mettere i puntini sulle «i» e porre definitivamente fine a insinuazioni e speculazioni sulla presunta diplomazia vaticana volta al raggiungimento di un cessate il fuoco nella guerra.
L’ufficiale visita ha avuto inizio la mattina del 13 maggio, con i media italiani che hanno seguito gli incontri istituzionali in diretta, accompagnando il tutto con una narrazione secondo cui il vero scopo del viaggio di Zelensky era la diplomazia del Papa e il suo piano di pace. Dopo l’incontro tra i due, il Presidente ucraino ha pubblicato un tweet dichiarando: «Ho chiesto al Papa di condannare i crimini della Russia in Ucraina. Non può esserci parità tra vittima e aggressore. Ho anche discusso della nostra formula di pace come unica proposta efficace per raggiungere una giusta pace. Ho proposto di aderire alla sua attuazione». Successivamente, durante la conferenza stampa con i giornalisti italiani, Zelensky è ancora più esplicito affermando: «La guerra è sul suolo ucraino, sono i militari e i civili ucraini che muoiono, quindi qualsiasi proposta di pace deve partire da Kyiv, non dal Vaticano, dalla Cina e così via».
Il giorno successivo, Podolyak, dà sfogo a tutta la frustrazione accumulata dall’Ucraina in questi 15 mesi di guerra nei confronti del Vaticano e della sua narrazione sulla guerra, twittando direttamente in italiano: «Il Vaticano riguarda principalmente la moralità. Quando chiami un aggressore con il nome di aggressore. Quando condanni duramente e direttamente i crimini di massa. Quando ti schieri apertamente dalla parte di un Paese che viene ucciso e distrutto senza essere provocato. Quando difendi personalmente coloro che sono vittime incondizionate dell’aggressione russa. Quando il male, che è la Russia, si chiama il male. Solo così nasce Santa Giustizia. Perché non si tratta di una sorta di ’mediazione a favore dell’aggressore, ma di vera pace e di vera punizione del male». Così, con quest’accusa di «mediare a favore dell’aggressore», Kyiv chiude definitivamente la porta al Vaticano, impedendogli di agire come mediatore sulle questioni legate alla parte bellicosa della guerra.
I motivi per il fallimento della diplomazia Vaticana ancor prima di esser cominciata sono molteplici. Partendo dalle dichiarazioni di Podolyak, si potrebbe affermare che è assurdo chiedere al Papa, in qualità di mediatore, di prendere una posizione tra Russia e Ucraina. Infatti, un mediatore dovrebbe essere imparziale. Il problema è che per Kyiv il Papa non è imparziale, ma sta mediando «a favore dell’aggressore». Inoltre, l’Ucraina non considera il Vaticano un attore politico o un’istituzione politica, a differenza di altri possibili mediatori come la Turchia, la Cina o le Nazioni Unite. Per loro, il «Vaticano riguarda principalmente la moralità». Ed è per questo motivo che Kyiv non rimprovera la Turchia e la Cina per la loro posizione neutrale in questa guerra, poiché tiene conto del fatto che questi ultimi hanno i loro interessi nazionali che non prevedono uno scontro con il Cremlino. Mentre, per Kyiv, il Vaticano è solo una istituzione religiosa per di più con scarsa influenza in Ucraina cosi come in quasi tutti i Paesi post-sovietici.
Va ricordato che la maggioranza (72%) della popolazione ucraina è cristiano-ortodossa, con solo l’8% di cattolici di rito greco. A ciò si aggiunge la propaganda anti-Chiesa cattolica diffusa per anni dalle istituzioni ortodosse (russa o controllate da essa) nello spazio post-sovietico, che ha reso il Vaticano impopolare in quei Paesi.
L’avversione alla mediazione del Papa è anche legata all’interpretazione che egli ha dato a questa guerra con la famosa frase «la Nato che abbaia alla Russia», che fa intendere che questa sia una guerra di procura per conto degli americani e provocata dall’Occidente. Questa narrazione presenta due problemi per gli ucraini: in primo luogo, fa percepire il Papa come anti-occidentale, contro la Nato e gli Stati Uniti per motivi ideologici, posizionandolo così al fianco del Cremlino, mentre per Kyiv sia la Nato che gli Stati Uniti così come tutto l’Occidente sono partner strategici per la loro sicurezza e la loro sopravvivenza come Stato e popolo. In secondo luogo, la narrazione della «guerra di procura» è percepita come fortemente colonialista, in cui agli ucraini viene negata l’«agency» (cioè la capacità di essere soggetti attivi in questa guerra e ed eventuale negoziato), e il Paese, con una popolazione di oltre 40 milioni di persone, è considerato come un giocattolo nelle mani delle «grandi potenze».
Un altro motivo per cui la diplomazia Vaticana non ha avuto successo è legato alla sua richiesta principale: il cessate il fuoco. Il Vaticano fatica a comprendere che il Presidente Zelensky, in questo momento, non ha né la volontà né il potere di prendere una decisione del genere, per il semplice motivo che, a differenza di Putin, è soggetto all’opinione pubblica. Secondo uno degli ultimi sondaggi condotti in tutta l’Ucraina (compresi Est e Sud-est del Paese, ma ovviamente escludendo i territori occupati dalla Russia) e pubblicato nel marzo 2023, il 97% degli ucraini crede che vinceranno la guerra contro la Russia e il 74% crede che l’Ucraina manterrà tutti i territori all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale, definiti nel 1991. Se Zelensky decidesse di negoziare in questo contesto e in un momento in cui l’Ucraina è nella fase di controffensiva, avendo successo a Bakhmut, che per tutti era una battaglia persa, rischierebbe un nuovo «Maidan». Non dimentichiamo che l’Ucraina ha una società civile molto vibrante (intesa non solo come il terzo settore, ma come tutti i cittadini politicamente attivi) che tradizionalmente ha sempre reso il proprio governo responsabile delle proprie scelte e azioni. Ed è per questo motivo che dal 1991 nessun presidente ucraino, tranne Leonid Kuchma, è stato rieletto per un secondo mandato. A ciò si aggiungono due rivoluzioni del 2004 e del 2014, organizzate dal basso proprio nel momento in cui gli ucraini si sono sentiti traditi nelle loro aspirazioni di avere un futuro europeo. La guerra di oggi è percepita come una lotta anti-coloniale per la sopravvivenza fisica dall’invasore russo, per la libertà e per l’Europa. È proprio a causa di questo contesto militare, politico e sociale la diplomazia vaticana non ha ottenuto il successo, né otterrà facilmente in futuro, ad eccezione delle questioni umanitarie legate alla guerra. —