La Stampa, 17 maggio 2023
Intervista a Michele Serra
Michele Serra, la Rai esiste da 70 anni, Fabio Fazio ci ha lavorato per 40. Adesso è stato praticamente spinto fuori. Che pericolo rappresentava?
«Fazio ha sempre lavorato in totale autonomia e non ha debiti politici da saldare. Deve tutto quello che ha solo al proprio lavoro, dunque a se stesso. Ho lavorato con lui per molti anni, fino al 2015, non ha amici politici e non frequenta la politica. Nel mondo partitico/romano che si contende da sempre la Rai, sono qualità controproducenti».
Dovrebbe essere il contrario?
«Dovrebbe, ma se un gruppo di potere decide che la televisione pubblica deve diventare la fabbrica della sua “narrazione”, che è un modo elegante per dire propaganda, uno come Fazio è inservibile. Bene che vada, può essere tollerato. Ma per lavorare bene non ci si può sentire “tollerati”, ci si deve sentire sostenuti dal proprio editore. Ha fatto benissimo ad andarsene».
Qual è il problema della Lega di Salvini con Che tempo che fa, dove non si registrano attacchi sguaiati e che ha sempre invitato tutte le parti politiche. C’è un problema di immaginario?
«Nel caso di Salvini suppongo che il problema sia di tipo antropologico più che politico: è il prepotente scamiciato che odia e deride il primo della classe un poco azzimato, come accade in ogni classe di scuola media. Credo che le buone maniere di Fabio facciano parte, per quelli come Salvini, dello stigma del radical-chic. Ci sarebbe solo da sorridere (di Salvini) se negli anni, con il supporto di giornali scritti con il bastone, i social di destra non avessero animato un vero e proprio linciaggio, pieno di insulti e minacce, fondato sulla fola di “Fazio che invita solo quelli di sinistra”. Su quella poltrona bianca sono passati quasi tutti i leader della destra, da Berlusconi a Storace a Fini allo stesso Salvini. Quest’anno Meloni era stata invitata alla prima puntata, per evidenti ragioni di rilievo giornalistico, ma non ha accettato l’invito».
Che tipo di Rai ti aspetti, visto che si profila una pressoché totale “occupazione” degli spazi?
«La Rai ha forti valori professionali interni, e perfino qualche dirigente, che lavorano per il bene dell’azienda e non per vassallaggio politico. Ma questo tessuto sano è come ingabbiato, la cappa dei partiti pesa sull’informazione e, negli ultimi anni, perfino sull’intrattenimento. Non vogliono controllare solo i tigì, anche le canzoni di Sanremo. Lo so, fa ridere. Ma fa anche abbastanza paura».
È sempre stato così, è sempre valsa solo l’affiliazione al potere e ai partiti, o le cose negli anni sono peggiorate?
«È sempre stato così. Tutti i partiti, escluso quelli molto piccoli che non potevano permetterselo, hanno rivolto alla Rai lo sguardo del padrone. Ho scritto decine di Amache, negli anni, sull’ossessione dichiaratoria dei vari Gasparri e Anzaldi (ex Pd, ora renziano) a proposito della Rai. Credo che abbiano avuto da ridire anche sulle previsioni del tempo, impicciandosi di una materia – la televisione – della quale sanno quanto io so di astrofisica. Ma con la destra al potere c’è un problema in più, ed è un problema enorme. Ha un gigantesco complesso di inferiorità che la rende più insicura e dunque più aggressiva. Si fida solo dei suoi. Dunque alla Rai metterà i suoi, e farà credere che “gli altri”, tutti gli altri, lavoravano lì solo perché “di sinistra”. Come Amadeus, noto biografo di Rosa Luxemburg».
Un tempo la questione del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi era centrale nel dibattito. Perché il capo del maggiore partito di centrodestra controllava il secondo polo televisivo dopo la Rai, e una volta al potere anche il primo. Adesso è come se tutto questo non fosse più considerato un problema, nonostante Berlusconi sia ancora lì, nel centrodestra. Le sue televisioni ancora solide. La Rai sempre più assoggettata alla maggioranza di governo. È perché la televisione è meno influente di un tempo?
«La televisione è tutt’ora molto importante. Quella che è meno importante, presso una parte molto vasta dell’opinione pubblica, è la democrazia. Con i suoi meccanismi, il primo dei quali è il rispetto dei limiti e delle competenze. Il conflitto di interessi di Berlusconi, oggettivamente gravissimo, scandalizzò solo una minoranza di italiani. Quella minoranza ha perso allora la sua battaglia, la riperderà anche adesso che la destra si mangia la Rai facendo credere di “liberarla”. E recitando, come ha sempre fatto, la parte della vittima che si ribella ai suoi carnefici. Superior stabat lupus... L’Italia rigurgita di prepotenti che se la passano da vittime, e di conformisti che se la passano da frondisti. Ora costoro sono maggioranza di governo».
Sembra che, complici anche i metodi di questa destra, gli spazi di opposizione nell’informazione siano sempre più ridotti. Che ci sia molto conformismo, molta voglia di accomodarsi al banchetto del potere.
«L’opposizione, i suoi spazi, da che mondo è mondo deve guadagnarseli. Costruirseli. Non deve fare la lagna, deve lavorare e parlare con il proprio linguaggio. Gli spazi liberi ci sono, e sono tanti. Fazio non va in esilio a Ventotene, va in un network piccolo ma ambizioso che paga bene i buoni prodotti. Chi è bravo non deve avere paura, alla lunga il merito vince sempre. Il paradosso dei prossimi anni è che a difendere sul campo la meritocrazia sarà la sinistra».
La governance della Rai sarà mai riformata o alla fine conviene a tutti che resti così com’è?
«Ogni partito ha il terrore di lasciare per primo quel tavolo infetto che è il controllo politico della Rai. Quindi, anche se tutti sanno che così l’azienda è penalizzata, temo proprio che la governance della Rai non sarà mai riformata. E poi Roma è Roma, l’onnipresenza della politica è micidiale, lasciare libero anche un solo centimetro quadrato è impensabile».
Che idea ti sei fatto della voglia di riforma presidenziale, che a giudicare dai sondaggi sta prendendo corpo nel Paese?
«Puzza di populismo e di “uomo forte”. Dunque piacerà a tantissimi italiani, spero non abbastanza da ribaltare la Costituzione. Ma non ne sono affatto certo».
Questo centrosinistra ti sembra abbastanza reattivo?
«È come il giocatore che rientra in campo dopo una lunga assenza. Bisogna dargli fiducia. Schlein ha energia e gioventù, il resto arriverà».
Ti ha colpito la tentata esclusione di Carlo Rovelli dal salone di Francoforte, per le parole contro un ministro dette in tv il primo maggio?
«Ovviamente sì. Un caso di censura all’insaputa dei censori. Si poteva e si doveva evitare».
Il mondo dell’editoria ha però reagito in modo abbastanza compatto. In tv questo non avviene mai.
«Si vede che in tivù ognuno in fondo è perso dentro i fatti suoi, come canta Vasco».
Vedi il rischio di una corsa al pensiero unico? Una contrazione del confronto delle idee?
«Non credo. Se la sinistra non perde tempo a compatirsi e a lagnarsi, può essere un’opposizione forte e bene udibile, in Parlamento come in televisione come sui giornali. C’è da lavorare e ci sono i posti dove si può farlo in piena autonomia. Io scrivo, oggi, con la stessa identica serenità di ieri e dell’altro ieri. Dipendo solo da me stesso e dunque non ho alibi, come tutti. Se mi leggono in tanti non è perché sono di sinistra. È per quello che scrivo». —