Corriere della Sera, 17 maggio 2023
Le mille cariche di Vittorio Sgarbi
Dovesse contenere tutti i titoli in un biglietto da visita gli occorrerebbe un pieghevole fronte-retro. L’ultima e fresca carica è quella di sindaco di Arpino, provincia di Frosinone, patria del «collega» oratore e fustigatore Cicerone. E addio municipio di Sutri: «Prima di me nessuno sapeva nemmeno dov’era» (soluzione: nel viterbese).
Ma Vittorio Sgarbi, critico e collezionista d’arte e infaticabile polemista/castigatore degli ignoranti al grido di «Capre! Capre!», è decisamente molto di più. Sottosegretario alla Cultura. Pro sindaco di Urbino («Un ruolo non operativo»), assessore a Bellezza e Monumenti di Viterbo. Neo-consigliere comunale di Latina: ma a questo incarico rinuncerà, come al posto di consigliere regionale in Lombardia per incompatibilità tra cariche.
Uno è trino era troppo poco (e già visto), perciò, il multitasking Sgarbi è pure, a seguire: presidente del Mart (Museo di arte moderna e contemporanea) di Rovereto, della fondazione Canova, della fondazione Ferrara Arte, del Mag (Museo dell’Alto Garda), commissario per le Belle Arti di Codogno. «Un fulgido caso di spending review perché prendo una sola retribuzione, quella da sottosegretario», garantisce. «Tutto il resto lo faccio a titolo gratuito. Anzi, dovrei essere da esempio: se ogni parlamentare, invece di presentarsi in Aula due giorni a settimana, facesse anche il sindaco, come succede in Francia, si risparmierebbe almeno uno stipendio».
Fa tutto e bene e senza ricarico, assicura. «Non ne traggo alcun beneficio economico per me, in compenso porto la mia celebrità. Le mie precedenti sono state sindacature epocali. Sutri era ignota alle mappe, io ci ho portato persino Andrea Bocelli e Massimo Moratti, nominato cittadino onorario. Quando amministravo Salemi, Agnese Borsellino, vedova di Paolo, disse che ero”un missionario”». Poi però gli chiese di «non strumentalizzare» quel giudizio.
Scorrendo indietro nel fitto curriculum, Sgarbi è stato sindaco di San Severino Marche, candidato sindaco a Pompei, Ferrara e Cefalù, assessore alla Cultura di Milano (ma durò poco, Letizia Moratti lo revocò) e assessore alla Rivoluzione del comune di Baldissero d’Alba e di quello di Cosenza.
Come possa stare dietro a tutto, districandosi tra mille impegni istituzionali e no, lui lo spiega così: «Ho dei buoni collaboratori. E dei vice-sindaci con la capacità di promuovere iniziative che si realizzino». Prima di lui, praticamente, il diluvio: «Ovunque vada, dei miei predecessori non resta alcuna traccia».
Per essere performante al massimo, beve solo acqua minerale e «favoloso» lambrusco, dorme tra le 5 e le 10 del mattino. Parla al telefono ininterrottamente, spesso con due diversi interlocutori e da due cellulari. La sua agenda è fittissima e compilata con cura certosina. Ogni tanto però, come raccontò lui stesso al Corriere, la pianificazione si inceppa: «A volte incontro il presidente della Repubblica per caso, altre invece buco un appuntamento come il ricordo di Gerardo Bianco: è appena successo e c’era appunto Mattarella». Durante l’ultima campagna elettorale, candidato al Senato per Noi moderati, in transito per la Bassa bergamasca e atteso ad un evento di partito in un castello, ha sbagliato location e maniero ed è finito nel bel mezzo di un matrimonio. Già che era lì, si è fermato a cantare Azzurro con gli sposi.
Per Arpino è già motivato: «Ho trovato una popolazione molto disponibile, non hanno bisogno di essere colonizzati ma sospinti. Il Certamen Ciceronianum in lingua latina è un evento formidabile di per sé, ad agosto c’è il Gonfalone. E poi organizzerò una grande mostra su Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino: dove altro potremmo farla, se non lì?».