Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  maggio 16 Martedì calendario

Intervista a Chiara Mastroianni

CANNES – Incontriamo Chiara Mastroianni, madrina del Festival, di fronte al mare, a pochi passi dal manifesto che ritrae sua madre Catherine Deneuve, in bianco e nero, sul set del film La chamade, 1968. L’attrice, 50 anni, indossa jeans, camicia bianca e una giacca da uomo. Si accende una sigaretta, di profilo, con la stessa elegante noncuranza del padre Marcello e la somiglianza toglie il fiato. «L’invito mi ha sorpreso, anche perché non si può dire che brilli nel parlare in pubblico. Ma sono felice. Sono stata qui fin dal primo film, poi in giuria, ora esploro una nuova funzione. Vorrei essere profonda ma anche divertente. Magari susciterò qualche risata involontaria, sono maldestra nella vita, mi sento più vicina a Pierre Richard di La capra che a Rita Hayworth in La signora di Shanghai».
La prima volta con sua madre?
«Era il mio primo film, restai folgorata, in più adoro i mercatini di Cannes. È poi questo luogo si è popolato di bei ricordi, film e registi che amo, Arnaud Desplechin, Raúl Ruiz, Xavier Beauvois, Manoel de Oliveira. Non ci si abitua mai, c’è sempre l’ansia, è la mia natura e non cambierà».
Il ricordo più forte con Marcello?
«Venimmo a presentare Tre vite e una sola morte di Ruiz, recitavamo entrambi. Sono stati gli ultimi mesi di vita mio padre, per questo più cari ed emozionanti, ma anche divertenti.
Avevo ventitré anni e papà aveva una sola ossessione: “Copriti, ti prendi un raffreddore”, per lui ero ancora una bambina. Insisteva che mettessi un golfino sul mio sull’abito da sera, io non avevo nessuna intenzione di rovinare la scollatura. Da bambina mi aveva fatto arrabbiare tantissimo, a Venezia: un anno noleggiamo un abito da marchesa, stupendo, e lui mi fece mettere sotto un dolcevita che usciva dalla scollatura. Per non parlare di quando feci una figurazione nel film di Claude Lelouch che mi fece indossare un passamontagna. Per fortuna dei bambini oggi non esistono quasi più, così umilianti».
In giuria con Scorsese, 1998?
«Fu un presidente appassionato, poco egocentrico, generoso. È stato stupendo sentirlo parlare di cinema per tanti giorni. E ci chiedeva di partecipare. Io avevo ventisei anni ma lui ci ha trattato tutti allo stesso modo. E poi ho vinto qui con L’Hotel degli amori smarriti il primo premio come attrice. Uno shock, positivo».
Tre italiani in gara quest’anno.
«Sono felice di questo grande ritorno del cinema italiano. Sono fan di Bellocchio, Moretti, Rohrwacher, spero di vederli tutti. È rassicurante quando ritornano a portare film. Non solo perché siamo cresciuti con loro, ma perché hanno ancora molto da raccontare. Curiosa di scoprirli».
Il ricordo di un set italiano?
«Il più nitido a sei anni, sul set di La città delle Donne. Qualcosa che non aveva precedenti all’epoca, ero bambina e giravo tra quei set incredibili e giganteschi che sapeva costruire Fellini. Era tutto magico. E c’erano laboratori di produzione di parrucche, gioielli, vestiti. So cheCinecittà è in grande attività e voglio tornare a rivederla».
A Cannes c’è sua madre nel poster, lei è madrina e sua figlia è Anna Biolay nel film “Rosalie”.
«È commovente. È il suo primo film per il cinema. Lei ha vent’anni, come me quando sono venuta qui per la prima volta. Quindi è divertente. Nel nostro mestiere, come in altri, ci si ritrova, ci si trasmette il sapere in famiglia. Capisco che all’esterno sia intrigante, ma per noi è naturale».