il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2023
Ripubblicato Opere di Carmelo Bene
Non fiori, ma Opere di Bene. Viviamo senza Carmelo Bene dal 16 marzo del 2002, però non gli siamo sopravvissuti. Come inverare un “genio senza talento”, come salvaguardare un cacadubbi con tanto di pensosità da cestinare, in balia dell’autocritica, come tramandare colui che ha sospeso il tragico, squartato il linguaggio e, perfino, isolato la flatulenza ontologica tra il cliente e la prostituta, giacché il godimento è privilegio dell’Altro (il capitale, Dio).
Torna disponibile Opere di Bene, il corpus letterario e teatrale completo dell’intelligenza di Campi Salentina (1° settembre 1937), un libro che è “il mio monumento da vivo”, una opera omnia che “evade il contemporaneo e qualsiasi opzione testamentaria, piuttosto suggerisce una vanità infantile”. Si ha l’immagine, il flash di un bimbetto issato e scalciante sulla sommità dell’opus magnum, di un Bene irridente alzato sulle spalle del gigante che è, di qualcosa di prezioso e sbilenco, fragile e contundente, spietato di misericordia.
Comprendere no,
impossibile. Al più, circoscrivere. Con le sue parole: principio, “il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento”; fine, fuor dell’opera, si è capolavoro. Era il maggio 1995, e Carmelo Bene licenziava la Autografia di un ritratto, che va al di là del Bene – se stesso – e del male – e qui possiamo sbizzarrirci. Dai poveri, ché “se non si nasce miliardari, si è spacciati per sempre. Ci si deve piegare al quotidiano” e nascere “è funesto, nascere poveri è infame”, al cazzeggio, “ineffabile neologismo giornalistico, paradossalmente omologato dagli addetti ai lavori dell’informazione nostrana”. Dal porno, “carne senza concetto”, all’eros, “conflittualità farneticante dell’io”. Conflittuale sovente, farneticante alla bisogna, io, cioè lui, sempre: Carmelo Bene.
Lorenzaccio, Nostra signora dei turchi, Credito Italiano V.E.R.D.I., L’orecchio mancante, S.A.D.E., Ritratto di signora, Giuseppe Desa da Copertino, Pinocchio, Proposte per il teatro, Arden of Feversham, Il rosa e il nero, Riccardo III, Otello, Manfred, Egmont, La voce di Narciso, Sono apparso alla Madonna, Macbeth, L’Adelchi, La ricerca teatrale nella rappresentazione di Stato, Pentesilea, Hamlet Suite, Fortuna critica e Riferimenti bibliografici: mille e cento pagine, “uno specchio di me” e il riflesso di molti, una lunga teoria di vocazioni ed evocazioni, entrambe – va detto – più persistenti delle provocazioni che hanno fatto il racconto ma forse non la storia del regista, drammaturgo, filosofo, scrittore, poeta. E attore, sui generis: “Il mio disprezzo per l’attore contemporaneo è qui: nella sua tanto ricercata simulazione, nel suo elemosinare una sciagurata attendibilità… nel suo terrore imbecille d’autoemarginazione; nel suo noioso cicalare di crisi del teatro e perciò mai tentato abbastanza dal valzer d’un teatro della crisi. Mammamia”.
Dubbioso della (ri)conoscenza altrui, confidante del narcisismo proprio, dunque il monumento se lo fa da sé, vivo e veggente, trapassando un “giovanilismo inteso come disperazione della non disperazione” e, per dirla con Amici miei, “prematurando gli scapigliati fiutascorregge della tradizione e i signori di baciaculo della neoavanguardia prepensionata”.
Mario Monicelli non ce ne voglia, ecco il cinema, che nella regia dei cinque lungometraggi, da Nostra Signora dei Turchi (1968) a Un Amleto di meno (1973), Bene contempla per poco più di un lustro, ma tanto basta per teorizzarlo e praticarlo quale “immagine acustica = in-con-sequenza delle riprese e indisciplina chirurgica del montaggio”.
Ha scelto parimenti cosa essere e cosa fare, fare Bene, lavorando per rimuovere il vuoto dell’esistenza senza scopo, inveterando l’opzione autodistruttiva del far-disfare. Un lavorio inventivo; “questa pena di vita” e combattendo lo Stato, che lo ignorò, financo lo arrestò, ma fortunatamente lo risparmiò dall’assistenzialismo: “Sarei restato un pezzo d’escremento”.
L’Autografia di un ritratto che introduce le Opere non elude le evacuazioni, incensa lo stadio anale, non si tura il naso di fronte alla merda e i suoi percorsi, ed è intendimento poetico: “La fisiologia è esclusa dal romanzo, dal teatro, dal cinema”.
Pensiero in resta e penna sguainata, Carmelo Bene ondeggia tra piedistallo e realtà, unicità e ripetizione, originale e simulacro, facendo della critica un altro mondo possibile, un paradiso artificioso, un ambito esclusivo o, meglio, escludente. Cassa, cestina: “Il Dio-io, la patria, il governo, la tolleranza intollerante di Stato, la famiglia, la politica, il civismo, l’ontologia, la libertà (soprattutto di stampa), la democrazia, la scuola universitaria dell’obbligo, la questione razziale”. Di meglio in Bene.