la Repubblica, 15 maggio 2023
Sulla tenda
Ètroppo carica di significati, la tenda, per diventare il simbolo,come la minigonna e i capelli lunghi, di una rivolta studentesca, pur giusta e civile, anche se non epocale come il ‘68. Di sicuro la tenda che, battendo la capanna, vanta persino il titolo diCasa di Adamo in paradiso (Joseph Rykwert – Adelphi) non resterà per molto tempo l’icona degli accampamenti di protesta, come il cappuccio dei black block o la Pantera. È vero che, simbolo degli sfollati e dei terremotati, adesso potrebbe anche incendiarsi più della Seattle no-global, ma poi, a fuoco spento, tornerebbe subito al popolo dei mongoli, all’orda d’oro dei conquistatori che disprezzavano le case «trappole di muffa e nascondigli dei vigliacchi». La tenda è invece «madre di tutte le arti» ha raccontato Gottfried Semper (Lo stile,Laterza), dalle forme dell’architettura alle trame dei tessuti. Quella di Gengis Khan aveva una «verde cupola nell’altissima volta» e «il pavimento coperto da tappeti sembrava un prato di viole, fiori di Giuda e giunchiglie». La tenda-nomade è ilgenius locidei fenomeni, l’ossessione di Fellini, il circo dei clown e dei domatori, l’allegria del teatro dove si esibirono Eduardo, Gassman, Proietti, Dario Fo ed esordì Troisi. Nei film western e nei fumetti (razzisti) era sempre davanti a una tenda che gli indiani d’America facevano augh attorno a un pezzo di legno chiamato Manitù. Nessuno ricorda che c’era la tenda nell’iconografia dell’Impero, nell’epica del legionario che «appena giunto ad Addis Abeba – recitavano i documentari – fu costretto a piantare i suoi quattro teli da tenda per evitare le catapecchie di cicca». C’è la tenda nell’Orientalistica da avanspettacolo di Petrolini: «Vieni con Abdul che ti faccio vedere il mio tukul». E Ragazze sotto la tendaera il titolo che l’Istituto Luce dava alle lezioni di vita sana e fascista: “Svegliati con il gallo, / specchiati nel ruscello / bacia la tua compagna che t’accompagna col somarello”.Nel 1928 fu la tenda rossa a salvare i superstiti del dirigibile Italia di Umberto Nobile precipitato sui ghiacci del Polo Nord. E c’è la tenda raccontata da Ungaretti, “dove si ascolta la cantilena/ del Corano /gustando un caffè”, che somiglia a quella che Gheddafi montò a Villa Pamphili per ricevere Berlusconi, circondato da massaie rurali nel ruolo di mammifere in assetto di guerra. La Storia è storia di tende, e si capisce che le sardine siano passate dalla ciotola del gatto alla piazza di Bologna, ma neppure la rivolta di piazza Tienanmen riuscì a sottrarre la tenda alla sua mitologia di abitazione originaria, la casa di Adamo appunto, la stessa che Cosimo, il barone rampante di Calvino, si costruì su un faggio. E, colpo di scena, c’è pure la tenda che arreda le finestre e dietro la quale si tradisce come nella Bella estate di Pavese o si muore innocenti come il povero Polonio ucciso da Amleto.