Corriere della Sera, 15 maggio 2023
Giochi europei sull’Italia
Lo scorso ottobre l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi fu visto come un piccolo terremoto in Europa. Gli elettori di uno dei Paesi fondatori della Ue avevano scelto un leader dichiaratamente sovranista. Una novità che rischiava di compromettere i delicati equilibri fra Paesi, gruppi politici e forse lo stesso processo di integrazione.
In realtà, a Bruxelles il cambio di governo a Roma ha generato per ora conseguenze limitate. Si sono tuttavia polarizzate le posizioni nei confronti dell’Italia all’interno della cosiddetta «sfera intermedia» della politica europea, quella in cui i leader dei vari Paesi si confrontano tra loro negli incontri bilaterali oppure si parlano a distanza attraverso i media. È all’interno di questa sfera che si forgiano le alleanze in vista delle decisioni Ue. Le dichiarazioni pubbliche servono inoltre a mandare messaggi ai propri elettori.
I primi leader a dare il benvenuto a Giorgia Meloni sono stati ovviamente Orbán e Morawiecki, i quali hanno subito rimarcato la comune visione sovranista dell’Europa. Quando Meloni è andata in visita a Varsavia, il premier Morawiecki l’ha portata al «Tolkien café», aperto per celebrare un testo cult della destra europea, «Il Signore degli Anelli». Alla fine della chiacchierata, Georgia e Mateusz hanno dichiarato: «Insieme sconfiggeremo Mordor». Bruxelles e la burocrazia europea venivano paragonati al regno oscuro del tiranno Sauron.
I simboli di Tolkien fanno parte dell’immaginario sovranista, richiamarli è un modo per attirare l’attenzione degli elettori più giovani. Dietro alla simpatia polacca e ungherese per Meloni vi sono anche interessi molto concreti. Budapest e Varsavia sperano nell’appoggio di un grande Paese come l’Italia per costruire minoranze di blocco nel Consiglio su temi delicati come lo Stato di diritto o l’ambiente. La sorprendente crescita dei Democratici Svedesi, altro partito di destra radicale, potrebbe facilitare aggregazioni di questo tipo. Meloni ha tuttavia deluso finora tali aspettative.
I leader europeisti si rapportano con il governo italiano in modo speculare ai sovranisti. Da un lato, condannano pubblicamente la visione dell’Europa come insieme di patrie nazionali e l’ostilità contro i migranti da parte di Meloni. Dall’altro lato, non possono permettersi di tirare troppo la corda: anche per loro è importante che l’Italia resti allineata con la tradizionale agenda europeista.
Delegittimando Meloni, gli europeisti sperano di togliere spazio alla destra radicale interna come Vox in Spagna e Le Pen e Zemmour in Francia. Alcuni esponenti del governo spagnolo (ad esempio la influente ministra del Lavoro, che proviene da Podemos) si sono lasciati andare a dichiarazioni molto critiche. I più aggressivi sono stati i leader di governo francesi: la premier Borne pronunciò già in ottobre la frase infelice «vigileremo sul rispetto dei diritti», mentre il ministro Darmarin ha recentemente accusato Meloni di essere un’incapace sulla questione dei migranti, aprendo una crisi diplomatica non ancora completamente sanata.
Nelle conversazioni private e negli incontri bilaterali, il quadro cambia. Nella sua visita a Roma, Sánchez ha cercato di trovare un terreno comune sui dossier europei più importanti. E lo stesso Macron ha evitato che le tensioni fra Roma e Parigi degenerassero in un conflitto politico dannoso anche per la Francia.
Nella sfera intermedia si accavallano molti giochi, con obiettivi diversi. Ambiguità e doppi sensi sono difficili da reggere nel tempo. Prima o poi arriva sempre un redde rationem: un momento e una questione su cui è impossibile non prendere una posizione netta. Ciò vale per i leader europeisti ma anche per il governo italiano. Fino a quando sarà possibile barcamenarsi fra due forni: quello sovranista per quanto riguarda la visione, quello europeista quando si tratta invece di votare su questioni cruciali? È chiaro, ad esempio, che non si può criticare l’invadenza di «Mordor»-Bruxelles e al tempo stesso chiedere più debito comune.
È probabile che la resa dei conti arrivi con le prossime elezioni europee, che si terranno nella tarda primavera 2024. Dopo il voto potrebbero crearsi le condizioni per la formazione di una maggioranza inedita nel Parlamento europeo, composta dai Popolari e dai Conservatori e Riformisti europei, il gruppo oggi presieduto proprio da Giorgia Meloni. Questo scenario potrebbe essere il risultato dell’erosione dell’attuale maggioranza (socialisti e popolari) oppure di un esplicito accordo pre-elettorale fra popolari, conservatori e forse liberali. La scelta non dipende solo dal gruppo presieduto da Meloni, ci sono divisioni anche all’interno dei popolari e dei liberali. Molto dipenderà anche dalla capacità dei socialisti e democratici di risalire la china, elaborando una visione progressista dell’Europa, unitaria e convincente.
Dal punto di vista sistemico, per l’Unione europea nel suo complesso e per l’Italia in particolare lo scenario più temibile sarebbe quello di un nuovo cordone sanitario contro la destra, non limitato a quella di Le Pen ma allargato anche ai conservatori e riformisti. Per questo il governo Meloni dovrà alla fine scegliere (semplificando) non solo fra Macron e Le Pen-Zemmour, ma anche fra il tandem Parigi-Berlino e quello Budapest-Varsavia.