Corriere della Sera, 15 maggio 2023
Intervista a Erin Doom
Quando arriva nella sede del «Corriere della Sera», Erin Doom è emozionata. Fino a ieri la scrittrice più letta del 2022 era invisibile. Settecento mila copie vendute con i primi due libri, Fabbricante di lacrime (2021) e Nel modo in cui cade la neve (2022), ma nessuno sapeva chi fosse. Ora invece si presenta di persona, i lunghi capelli biondi avvolti in una fascia verde, il volto sorridente. Ha deciso di svelare la sua identità e mostrarsi, ieri sera in diretta tv su RaiTre con Fabio Fazio a «Che tempo che fa» e qui. Il tutto alla vigilia dell’uscita del suo terzo romanzo (edito da Magazzini Salani come i precedenti): Stigma. Un romance come i primi due libri amatissimi da lettori, e soprattutto lettrici, tra i 12 e i 25 anni.
Quindi d’ora in poi come la dobbiamo chiamare?
«Al momento mi viene naturale presentarmi con il mio vero nome, Matilde. Ma sono anche Erin Doom e così continuerò a firmare i miei libri».
Ha sempre detto che prima o poi avrebbe rivelato la sua identità. Perché ha deciso di farlo ora?
«Sono sempre stata timida e introversa. Fin dall’inizio, quando ho pubblicato i primi libri a capitoli sulla piattaforma Wattpad e poi con il self publishing (su Amazon, ndr), ho scelto uno pseudonimo per vivere tutto questo nel modo più confacente alla mia indole. L’anonimato è stata una scelta consapevole, ma anche un compromesso. Sentivo però che mi mancava la possibilità di incontrare i lettori. Ho vissuto tutto attraverso uno schermo e quasi non me ne rendevo conto. La scelta di svelarmi è stata graduale: ora sono pronta».
Le sue lettrici e i suoi lettori sapevano già il suo vero nome. Su Instagram, dove interagisce con loro, la chiamano «Mati». Svela anche il suo cognome?
«Per ora no».
Ma chi è quindi Erin Doom? Vuole dirci qualcosa in più sulla sua biografia?
«Un passo alla volta, per il momento preferisco non dare dettagli. Per ora ripeto quanto ho già rivelato: sono emiliana, ma da poco mi sono trasferita in un’altra regione. Ho meno di trent’anni. Aggiungo che sono nata a maggio. E domani, il 16, è anche il mio compleanno».
Ha fatto studi di Giurisprudenza. Sta ancora lavorando in ambito legale?
«Non più. Ora mi dedico ai libri».
Che emozioni prova in questi giorni?
«È un momento che aspettavo da tanto. Lo svelamento significa presenza: finalmente potrò guardare negli occhi chi mi legge. Dire: ci sono. Ma ho anche tanti timori. Del resto ci vuole coraggio ad essere sé stessi».
C’è anche la paura che, tolto il mistero, qualcosa si rompa?
«No, in realtà è più il timore di deludere le aspettative di queste giovanissime».
Il successo, soprattutto grazie al passaparola su TikTok, è stato travolgente. Quando si è accorta che le cose stavano cambiando?
«Quando sul giornale che mi portò mio papà ho visto che il libro era primo in classifica. Per la prima volta un segno concreto. Prima tutto era virtuale: Wattpad e le condivisioni su TikTok...».
I suoi genitori hanno sempre saputo che lei è Erin Doom?
«All’inizio non lo sapeva nessuno. Ho iniziato a dirlo quando Fabbricante di lacrime è uscito per Salani: prima a due migliori amiche, poi a mia mamma, a un’altra amica e a mio papà».
L’anonimato era il suo mantello dell’invisibilità, come in «Harry Potter».
In incognito
L’anno scorso al Salone di Torino non mi hanno fatto entrare al mio evento. E sul set del film tratto da «Fabbricante» ero la stagista
«Mi proteggeva. E in alcuni casi è stato molto bello. Come l’anno scorso quando al Salone del Libro ho potuto assaporare questo mondo senza paura. Ora senza mantello non so come sarà».
Non potrà più girare indisturbata.
«A Torino non sono riuscita a entrare in un evento in cui si parlava di me. La sala era piena e mi hanno mandata via. Giravo con Carrie Leighton, autrice di Better, e un’altra amica scrittrice e le ragazzine le fermavano con gli occhi illuminati. Loro firmavano i libri e io scattavo foto. A un certo punto una ragazza mi ha detto: “Scusa tu. Mi tieni la penna?”. Nessuno mi calcolava. È stato incredibile».
Domani in libreria arriva «Stigma», il suo primo «inedito», senza passaggi su piattaforme. Il titolo è una sola parola.
«È coerente con il libro che è. Fabbricante era una fiaba, filtrata dagli occhi di una ragazza che vede tutto come una magia. Qui, invece, il punto di vista è quello di Mireya, che è più dura. Come il titolo».
Mireya e Andras sono due personaggi «ben lontani dall’essere perfetti».
«Ho sempre scelto protagonisti che si completavano: Nica e Rigel in Fabbricante, Ivy e Mason in Neve. Mireya e Andras hanno invece innumerevoli difetti, e così tanti punti in comune da scontrarsi».
Nica e Ivy erano orfane, Mireya invece ha una madre che con la sua tossicodipendenza gioca un ruolo determinante.
«Attraverso la mancanza di una famiglia ne sottolineavo il valore. Qui la famiglia c’è, ma la madre di Mireya ha affrontato situazioni talmente difficili che la figlia ne porta il segno, la cicatrice».
Come i precedenti, «Stigma» è ambientato negli Stati Uniti.
«Un amore che nasce dai viaggi che ho fatto fin da bambina con i miei genitori».
«Stigma» è il primo volume di una saga. Da quanti romanzi sarà composta?
«Due o tre, non l’ho ancora capito. Preferisco i romanzi autoconclusivi ma ho sempre saputo che a questa storia sarebbe servito più di un libro. Il seguito si concentrerà più su Andras».
Ha già iniziato a scrivere il seguito?
«Sì. Quando inizio un libro devo sapere dove finirà: per Stigma ho annotato tutto su un quadernino iniziato anni fa».
«Fabbricante di lacrime», in corso di traduzione in 18 Paesi, diventerà un film. Che cosa ci può dire della produzione?
«Purtroppo ancora nulla. Ma procede. E lo vedremo presto. Sono stata sul set ma per farlo mi sono finta stagista».
Alla fine di «Stigma» ringrazia lettori e lettrici, «la scintilla che dà vita a ogni singolo romanzo».
«Senza di loro non sarei qui. Stigma è un nuovo inizio, una rinascita. Ed è bellissimo che l’uscita del libro e il primo incontro con loro a Milano coincidano con il giorno del mio compleanno».