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 2023  maggio 15 Lunedì calendario

Per vivere a lungo non bisogna smettere di lavorare

Vuoi vivere a lungo e in salute? Non smettere mai di lavorare! Detta così è un po’ brutale, ma gli studi scientifici dimostrano che ritardare il pensionamento rallenta il declino cognitivo e consente di sfuggire all’isolamento sociale. La ricerca più esaustiva, pubblicata nel 2015 sulla rivista «CDC Preventing Chronic Disease», è stata svolta su un campione di 83 mila persone: gli over 65 che lavorano hanno tre volte più probabilità di stare meglio fisicamente rispetto a chi è inattivo e il 50% di probabilità in meno di contrarre patologie serie, come cancro o malattie cardiache. Dunque, escludendo i lavori usuranti, quando si entra in questa fascia di età sarebbe saggio pensarci due volte prima di abbandonare definitivamente il proprio mestiere.
Tra i popoli più longevi al mondo
A guardare i numeri noi italiani stiamo già bene così: nel 2023 l’aspettativa media di vita è di 84,2 anni (86,1 per le donne e 82,1 per gli uomini). Tra i grandi Paesi solo il Giappone fa meglio, ma come vedremo più avanti le differenze sono sostanziali.

Dai dati Ocse mediamente gli italiani trascorrono 24 anni in pensione, e da un’analisi di Bloomberg tra i 16 e i 18 anni sono trascorsi in buona salute.Una lunga vita è un dato positivo e allo stesso tempo una sfida. L’Italia è infatti il Paese più anziano d’Europa (età media 48 anni contro i 44,4 della Ue). Gli over 65 hanno superato i 14 milioni (il 24% dell’intera popolazione) e secondo le proiezioni Istat nel 2050 diventeranno 20 milioni (34,9%). Come conservare l’attuale tenore di vita ed evitare aumenti della spesa sociale insostenibili? Tra le strategie più innovative adottate negli ultimi anni da Paesi che ci assomigliano demograficamente ci sono il contrasto alle misure che incentivano l’uscita anticipata dal mercato del lavoro (vedi Quota 100-103) e la promozione dell’occupazione degli over 65.
Età pensionabile e posticipo dell’assegno
La riforma Fornero del 2011 prevede che l’età standard per andare in pensione sia 67 anni, ma grazie alle varie norme sull’uscita anticipata l’età effettiva resta tra i 62 e i 63 anni (dati OCSE e Itinerari Previdenziali). I dipendenti pubblici che hanno maturato i diritti alla pensione devono obbligatoriamente uscire a 65 anni e solo alcune limitate categorie professionali (magistrati, medici, docenti) possono posticipare l’età limite a 70 anni. Nel privato, invece, in accordo con l’azienda, si può restare al lavoro fino a 71 anni. Chi decide di posticipare la pensione deve rinunciare temporaneamente all’assegno, ma al momento dell’uscita ne incasserà uno più corposo non solo grazie all’aumento degli anni di contribuzione, ma anche perché si è elevato il coefficiente di trasformazione che determina l’ammontare dell’assegno. Ad esempio, nel 2023 una persona che esce dal lavoro a 65 anni e che ha accumulato 300 mila euro di contributi beneficerà di un coefficiente di trasformazione di 5,352% e di una pensione annuale di 16.056 euro. Se però va in pensione a 70 anni, con 350 mila euro di contributi e un codice di trasformazione annuale di 6,395% avrà una pensione di 22.382 euro. Poco più di 500 euro al mese.
I pensionati italiani che continuano a lavorare
A differenza dei lavoratori autonomi, i dipendenti devono obbligatoriamente chiudere il rapporto di lavoro per ottenere la pensione. Una volta incassato il primo assegno, possono stipulare un nuovo contratto, anche con l’ex datore di lavoro. In Italia sono 444 mila i pensionati italiani che continuano a svolgere un’attività (Qui il documento). Di questi, gli over 65 sono 383.600, e quasi la metà raggiunge i 70 anni. Non gravano sulle finanze pubbliche anche se incassano la pensione perché continuano a versare i contributi. Coloro che scelgono «l’invecchiamento attivo» sono di solito uomini (78,4%), vivono al Nord (65%) e svolgono un lavoro indipendente (86,3%). Molto bassa invece è la quota dei lavoratori dipendenti (13,7%), fra le ragioni il fatto che il cumulo dei redditi da lavoro e da pensione comporta una tassazione più alta, mentre gli autonomi possono applicare la flat tax.

Gli over 65 attivi nel mondo
Negli ultimi dieci anni gli over 65 attivi in Italia sono quasi raddoppiati, passando da 372 mila a 705 mila ( il numero include chi incassa già la pensione e chi no), ma rappresentano solo il 5,1%, mentre la media Ocse è del 15%. In cima alla lista ci sono sia i Paesi più longevi e anziani come Giappone e Corea del Sud che impiegano rispettivamente il 25,1% e il 34,9% degli over 65, sia Paesi relativamente giovani come Stati Uniti e Australia con il 18,9% e il 14,7%. Percentuali alte anche nel Nord Europa: Svezia (19,2%), Norvegia (15,2%), Finlandia (12,1%). I numeri precipitano invece in Francia (3,4%), Spagna (3,1%) e Grecia (4,4%). In media nella Ue resta alta la componente dei lavoratori che hanno tra 65 e 69 anni (13,2%), e nella maggior parte dei casi scelgono un lavoro part-time.

La strategia in Giappone, Usa e Svezia
Il Giappone è il Paese con il maggior numero di over 65 al mondo: circa il 30% della popolazione. L’età per andare in pensione è 65 anni, ma già dal 2019 il governo ha invitato le grandi aziende a trattenere in organico anche gli impiegati settantenni. Secondo una ricerca del 2022, su 230 mila aziende con più di 21 dipendenti, almeno il 25,6% ha seguito la raccomandazione. In generale lo Stato offre agli over 65 che posticipano l’uscita dal mercato del lavoro ogni mese un aumento dello 0,7% sulla futura pensione. Significa che chi ritarda l’addio al lavoro di 5 anni vedrà l’assegno aumentare del 42%. Dopo i 70 anni, il pensionato lavoratore non verserà più i contributi. Negli Stati Uniti l’età per la pensione è 66 anni, ma chi vuole restare beneficia di un incremento annuo sulla pensione dell’8%. Inoltre la legge federale «Age Discrimination in Employment Act» protegge i lavoratori dalle discriminazioni legate all’età. La Svezia è uno dei Paesi europei che già dagli anni ’90 ha iniziato a contrastare il pensionamento anticipato (nel 2023 si può richiedere dai 63 anni, nel 2026 dai 64). Non esiste una norma che fissa l’età per la pensione, ma la maggior parte delle persone sceglie di ritirarsi a 65 anni. Tuttavia la Svezia è anche il Paese Ue con il tasso più alto di 70enni (10,8%) e 75enni (6,9%) che lavorano. Nel corso degli anni sono aumentati incentivi economici e benefit. Per esempio: gli autisti di bus che restano al lavoro fino a 70 anni hanno un aumento di stipendio e visite mediche annuali e gratuite.

Tolgono lavoro ai giovani?
Non si è sempre detto che per far posto ai giovani bisognava mandare i lavoratori in pensione prima? Guardando le statistiche si direbbe il contrario: dove è maggiore l’occupazione degli over 65 è minore la disoccupazione giovanile. Ad esempio in Giappone e Corea viaggia intorno al 4-8%, negli Usa si ferma al 7,5%, mentre dove l’occupazione anziana è marginale la percentuale dei giovani senza lavoro è a doppia cifra: 17% in Francia, 22% in Italia, 29% in Grecia e Spagna. Poi ci sono le eccezioni: in Svezia, dove gli anziani sono incentivati da più tempo, la disoccupazione giovanile supera il 20%; oppure in Germania, dove gli over 65 occupati sono poco più del 7%, i giovani disoccupati sono solo il 5,7%. A dimostrazione del fatto che non c’è nessun automatismo.

Il dato certo è che l’invecchiamento della popolazione segnerà il mercato del lavoro e le politiche di welfare dei prossimi decenni. Considerate quindi tutte le ricadute positive e tutelando chi svolge lavori usuranti, non c’è nessuna ragione per non trattenere al lavoro gli over 65 che lo desiderano, offrendo smart working, part-time e orari flessibili, in un quadro di formazione e riqualificazione permanente, soprattutto tecnologica. Mentre i professionisti più qualificati andrebbero trattenuti il più a lungo possibile, proprio per trasmettere quel sapere che si matura solo con l’esperienza e che invece va irrimediabilmente perduto.