La Stampa, 15 maggio 2023
Ancora sul digiuno intermittente
In queste settimane molti giornali e programmi televisivi hanno parlato, spesso impropriamente, di digiuno intermittente. Poiché pare che tutto sia nato da una frase del mio ultimo libro in cui racconto che pratico una forma di digiuno con regolarità, credo sia necessario a questo punto che io approfondisca l’argomento e fornisca le basi scientifiche di questa pratica che riscuote così tanti consensi e dissensi.
Il digiuno è presente da sempre nella vita degli esseri umani, per necessità o per scelta. In tempi recenti, per le persone che hanno la fortuna di avere sempre cibo a disposizione, il digiuno è stato spesso associato a pratiche religiose, come per i monaci tibetani o come fanno i popoli islamici durante il Ramadan. Ma, in tempi molto più recenti, anche la scienza ha iniziato ad avvicinarsi al digiuno, come strategia per prevenire le patologie tipiche dell’invecchiamento, tra cui la sindrome metabolica, l’aumento di grasso viscerale o il cancro. Forse è stato il prof. Umberto Veronesi il primo medico famoso a parlare di digiuno agli italiani. L’amatissimo e stimatissimo oncologo, che praticava regolarmente il digiuno ed era vegetariano, scrisse nel 2013 un libro intitolato “La dieta del digiuno” e non perché all’improvviso avesse deciso di cambiare mestiere ma perché si erano ormai accumulate solide evidenze scientifiche a sostegno del forte legame esistente tra nutrizione, prevenzione e longevità. Molti scienziati hanno contribuito a capire come la restrizione calorica e il digiuno controllati possano agire positivamente sul nostro corpo. Tra essi vale la pena ricordare due italiani, Luigi Fontana, medico e scienziato della restrizione calorica, e Valter Longo, biologo e scienziato notissimo in tutto il mondo per la sua dieta mima-digiuno. Nessuno ha mai pensato che le parole di Veronesi, Fontana o Longo fossero rivolte ai bambini o agli adolescenti né che potessero essere diseducativi: tutti loro hanno infatti scritto libri divulgativi dedicati alla longevità e alla prevenzione delle malattie tipiche della terza età. Che è il tema del mio ultimo libro.
Veniamo quindi al digiuno intermittente: ci sono solide basi scientifiche per dire che può rappresentare uno strumento di prevenzione delle malattie tipiche dell’invecchiamento? Sì, ma dipende da cosa si intende per digiuno intermittente e da come lo si intraprende. Prima di tutto chiariamo una cosa: il termine digiuno intermittente si riferisce a una pratica per cui si digiuna completamente per alcuni giorni alla settimana. Non ci sono abbastanza dati in letteratura per sostenere che questo approccio abbia dei vantaggi rispetto ad una alimentazione libera ed equilibrata. La forma di digiuno che va più di moda parte invece dai nostri ritmi naturali e in inglese si chiama “time-restricted eating”. Questa forma di alimentazione prevede di inserire nell’arco della giornata almeno 12 ore di digiuno consecutive corrispondenti alle ore serali e notturne. E qui la scienza di supporto è molto solida e si basa sui nostri ritmi circadiani.
I ritmi circadiani sono dei cambiamenti di tipo fisico e comportamentale che seguono uno schema ripetuto nelle 24 ore (da cui il termine “circadiano” che significa appunto “di circa un giorno"). Questi cambiamenti, che si ripetono con una ciclicità abbastanza costante, rispondono infatti principalmente all’alternanza di luce e buio e sono regolati da una sorta di orologio biologico interno. Ogni cellula del nostro corpo possiede il proprio orologio biologico ma esiste un meccanismo di sincronizzazione, una sorta di “master clock” che è l’orologio biologico principale del cervello, il quale regola il ritmo di tutti gli altri, riceve informazioni direttamente dagli occhi ed è quindi regolato sulla base dell’alternanza di luce e buio. Prima dell’invenzione dell’elettricità e prima che nelle nostre case ci fosse la corrente elettrica che ci permette di tenere accese luci, televisioni e computer, l’essere umano viveva al buio quando il sole calava. Il ritmo della luce solare era anche il ritmo che determinava la sua vita: in assenza di luce doveva riposare, mentre il sorgere del sole dava il via alle varie attività che richiedono un alto consumo di energia. In condizioni naturali, gli animali si nutrono durante la fase attiva del ritmo circadiano. Questo significa che gli animali che sono svegli e attivi di giorno (come noi umani) consumano i loro pasti in presenza della luce del sole mentre gli animali che di giorno dormono e sono attivi durante la notte (come gufi e ghiri) sono notturni anche per le abitudini alimentari. Nell’evoluzione delle specie, gli orologi biologici scanditi dalla luce solare, dall’attività fisica e dall’alimentazione si sono allineati, in modo da permettere ai nutrienti di essere utilizzati al meglio durante le ore di attività. Che succede dunque se si mangia nelle ore dedicate al riposo, per esempio di sera tardi davanti alla televisione? Accade che gli orologi periferici, sensibili ai nutrienti, cambiano il loro ritmo e segnano un’ora diversa da quella segnata dal master clock. Questo disallineamento dei ritmi circadiani è spesso causa di insonnia ma provoca anche stress metabolico e immunologico e può favorire lo sviluppo di moltissime malattie, da quelle cardiocircolatorie ai tumori. Diversi studi hanno dimostrato che il digiuno circadiano ha effetti molto positivi sulla salute mentre, d’altro canto, è noto che l’abitudine di mangiare durante le ore che dovrebbero essere dedicate al riposo ha effetti deleteri su tutto il nostro corpo. Un’estensione di questa forma di digiuno circadiano allunga un po’ le ore in cui non si mangia e le porta fino a 14 o 16, per fare in modo di attivare quelle vie metaboliche favorevoli che difficilmente partono prima delle 12 ore. Questo è quello che, sbagliando, chiamiamo digiuno intermittente. Funziona? Dipende da molti fattori. Negli studi clinici controllati il digiuno circadiano ha dato ottimi risultati su molti fronti, dalla perdita di peso alla regolarizzazione dei parametri metabolici, e oggi viene sperimentato anche in campo oncologico, sotto la guida di chi si occupa di nutrizione clinica. Tuttavia stiamo parlando di studi clinici, in cui i soggetti erano seguiti da nutrizionisti. Usare il digiuno circadiano senza una guida può quindi essere completamente inutile o addirittura dannoso, laddove non si introducano nell’arco della giornata calorie o nutrienti adeguati. Tuttavia, per le persone di mezza età (tra i 40 e i 60 anni), se sane e se guidate da esperti della nutrizione, questo approccio sembra essere molto interessante, poco faticoso e certamente meno punitivo della restrizione calorica per prevenire le patologie dell’invecchiamento e puntare ad una longevità sostenibile. —