La Stampa, 15 maggio 2023
Ancora sull’affaire Rovelli
Nel 2017 il paese ospite alla Buchmesse di Francoforte fu la Francia. A inaugurare, Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Tra gli ospiti d’onore, Michel Houellebecq, il quale, com’è noto, a volte discetta della Francia come Thomas Bernhard discettava dell’Austria. Non ne parliamo di cosa scrive dell’Europa. Emmanuel Macron iniziò il suo discorso dicendo solennemente: «Senza cultura non c’è l’Europa!». Benissimo. Houellebecq fece invece un’analisi delle differenze culturali tra Francia e Germania prendendo come pietra di paragone le rispettive industrie della pornografia. «I porno tedeschi sono più interessanti», sibilò, adombrando una superiorità germanica sulla terra di Montaigne. Nessuno fece una piega. Nessuno si imbarazzò. Proprio per niente. Conosciamo Houellebecq. Un Paese che non soffre di avvilenti complessi di inferiorità non ha paura dei suoi scrittori, dei suoi intellettuali. Ma che Paese è quello che ha invitato, disinvitato e poi – contrito – di nuovo invitato Carlo Rovelli alla Buchmesse?Carlo Rovelli è stato invitato alla Fiera di Francoforte perché è uno degli scienziati e intellettuali italiani più noti e apprezzati a livello internazionale. Poi è stato disinvitato perché il suo intervento al concerto del Primo Maggio ha destato polemiche e scalpore, e non sta bene che un intellettuale risulti divisivo e crei scompiglio in un contesto ufficiale. Niente polemiche. E Pasolini? E Malaparte? E Marinetti? E Morante? Quindi si ritiene, uno: che un intellettuale, quando è invitato a parlare in pubblico dalle istituzioni del proprio Paese, debba parlare in nome del governo e non di se stesso. Due: che intellettuali e scrittori in questo Paese debbano avere un ruolo decorativo, e soprattutto che debbano dire solo cose giuste. Ma un intellettuale privato anche della sua libertà di spararle grosse non è più un intellettuale, ma un funzionario.Rovelli ha delle posizioni controverse sull’Ucraina (per le quali, chi ritiene, lo attacca in modo legittimo; le sue posizioni, per dire, non sono le mie) ma rispetto a quello che ha scritto e detto Michel Houellebecq in questi anni sulle questioni di politica nazionale e internazionale, Rovelli è un moderato. Se fossi costretto a scommettere, direi che non c’è stata nessuna pressione governativa per escludere Rovelli dalla Buchmesse. Di cosa dunque si è avuto paura? Di un governo che sulla cultura promette di non fare prigionieri? Suvvia! Il mondo del libro non è la Rai. Non è di proprietà di un ministero. Sull’editoria libraria non è ancora sceso il Minculpop, e negarsi la libertà che nessuno ti sta togliendo è davvero preoccupante. Certo, la politica ogni tanto (compreso questo governo, non solo questo governo) “ce prova”. Basta dire no.Poi – dopo un giorno di polemiche – Carlo Rovelli è stato reinvitato a Francoforte. E cosa gli è stato detto? Che era stato escluso per evitargli l’imbarazzo delle polemiche! Insomma, siamo al paternalismo. Gli intellettuali sono dei bambini portati per mano dai funzionari pubblici a fare la gita fuoriporta.Ma il problema della spedizione italiana a Francoforte nel 2024 non è solo l’affaire Rovelli.Quando un Paese è ospite d’onore a Francoforte (e di solito lo si sa con anni di anticipo) quel Paese cerca di prendere per tempo misure adeguate per rafforzare istituzionalmente tutti i comparti preposti alla promozione della lettura. Per esempio, si dota di un adeguato fondo per la traduzione. L’Italia lo ha fatto? Poco e male. Non siamo neanche riusciti ad accorpare risorse e competenze tra Ministero della Cultura e Ministero degli Esteri su questo tema. Francoforte è un’occasione d’oro perché i libri e la cultura del Paese ospite vengano diffusi con una forza moltiplicata e direi quasi irripetibile in tutto il mondo. Il contrario dell’autarchia. Nel nostro caso accadrà? C’è da temere di no. C’è poi il problema di una serie di leggi (sempre annunciate, da governi di destra, di sinistra, di centro, mai neanche discusse sul serio) che sostengano e colleghino in modo virtuoso i grandi giocatori della promozione della lettura: le scuole, le biblioteche, le librerie, le case editrici. Cosa aspettiamo a intervenire?L’editoria (a differenza del cinema, il cui fatturato è assai più piccolo rispetto a quello sviluppato dai libri) campa sul mercato, si autosostiene. E questa è un’ottima notizia. Non c’è bisogno di misure assistenzialistiche. Il che non significa che non ci debbano essere incentivi alla produzione e all’innovazione. La nostra civiltà del libro è piena di eccellenze bistrattate. Abbiamo ottimi editori in continua difficoltà. Abbiamo tra i migliori traduttori del mondo che sono anche tra i meno pagati in Europa. Ma molti tra quelli che si occupano di libri lavorano in condizioni pietose. E le biblioteche? E le biblioteche scolastiche? E la scuola?In un Paese meno complessato, nel rapporto tra politica e mondo del libro, si dovrebbe parlare di questo. Il compito della politica, rispetto al mondo del libro, non è orientarlo (il mondo del libro si orienta benissimo da solo), non è fare raccomandazioni da Prima Repubblica, non è nemmeno stabilire (abbiamo la classe dirigente e politica che legge meno in Europa, non rischiamocela) se Ariosto era un futurista ante litteram o se Lucrezio era trotskista. Il compito della politica – a cui credo, se benintenzionata, il mondo del libro darà una mano – è trovare soluzioni adeguate per promuovere al meglio la lettura (libera) in Italia.Francoforte è vicina. Non riduciamola a un bello spettacolo autopromozionale. Perché il rischio è esattamente questo. È un’occasione d’oro che rischiamo di sprecare. Interveniamo. Discutiamo. Innoviamo. Ricominciamo da propositi e slanci meno vacui di quelli visti fino ad ora. —