Specchio, 14 maggio 2023
Che fine ha fatto Beppe Savoldi
rimo giocatore a infrangere la barriera del miliardo di lire nel 1975, quando il Napoli lo comprò dal Bologna per duemila milioni complessivi, Beppe Savoldi se ne sta lontano dagli stadi da anni - «col calcio di oggi non mi ci trovo» - e fa il nonno a tempo pieno a Bergamo, oltre a coltivare la vecchia passione per l’archeologia: «Ho tre nipoti maschi, uno da mia figlia, il più grande, di dodici anni, e due da mio figlio. Che cosa sto leggendo? Un libro sugli eretici nella storia».
Centravanti di razza come usava una volta, Savoldi si gode la pensione in famiglia continuando a coltivare una vecchia passione: «Sono amante dell’archeologia. Quando andavo in una città per giocare, andavo a vedere tutto quello che potevo. Leggo molto, ma più che i romanzi, che sono fittizi, leggo tutto quello che c’è da imparare: filosofia, storia, tutto». Appartiene a un vecchio mondo, il calcio di cinquant’anni fa, dove gli isterismi dei genitori alle partite dei figli erano sconosciuti: «Quando accompagno i nipoti ci sono i genitori che sono fuori di testa. Se penso che ho cominciato all’oratorio e che mio padre non è venuto a vedermi giocare prima della serie A...». C’erano meno soldi e sovraesposizione di ora, ma in compenso i giocatori venivano venduti da una società all’altra senza che fosse necessario il loro consenso: «I presidenti facevano quello che volevano, avevano la proprietà del nostro cartellino e mandavano i giovani a farsi le ossa al Sud perché era lontano da casa». Classe 1947, nativo della Bergamasca, Savoldi debuttò nell’Atalanta per poi essere appunto "venduto" al Bologna, dove si mise a segnare a raffica.
Fra tanti gol veri, anche un gol fantasma, ad Ascoli, dove un raccattapalle appostato vicino al palo ributtò il pallone fuori dalla porta. L’arbitro non vide e il gioco proseguì. Quanto a lui, non se la prese neanche tanto: «Avevo già segnato due reti e vincevamo 3-1». Storie di epoca pre-Var, ma uno spiraglio di calcio moderno si aprì nel 1975, quando il suo cartellino cambiò proprietario per la cifra monstre di due miliardi e Beppe-gol se ne andò a giocare a Napoli fra lo scandalo generale: «Quando mi chiamavamo Mister Miliardo non mi faceva nessun effetto, anche perché io non ci ho guadagnato nulla. Semmai era motivo di carica e di impegno, era una cifra enorme e tutto il mondo ne ha parlato, ma te la facevano pesare: arrivato a Napoli mi toccavano increduli, dicevano "l’hanno pagato due miliardi, ma di che cosa è fatto". Qualcuno ha fatto anche la morale, ma non me ne fregava niente, i soldi mica sono finiti nelle mie tasche».
Un giocatore che lascia i campi si porta dietro per molto tempo sensazioni che somigliano molto all’astinenza: «Per anni, dopo che ho smesso, sentivo dentro di me la settimana vissuta da calciatore, sia a livello mentale che fisico. Poi arrivavo alla domenica e ti restava addosso una carica di adrenalina che non riuscivi a smaltire. È stato molto difficile. Anche perché io sono un metodico, sento i ritmi biologici e sono legato a degli orari». Con i colleghi di allora ha mantenuto qualche rapporto: «Faccio pare della chat Napoli Legend, poco tempo fa abbiamo festeggiato il compleanno di Pecci. A Bologna c’era un gruppo coeso e io che ero il capitano invitavo i miei compagni a cena, per tenere la squadra unita. Oggi mi sento ancora con Colomba». Allenatore in serie C e poi commentatore tv, a un certo punto ha smesso di seguire le partite: «A mio figlio che allena la Primavera del Renate in serie C magari do consigli, ci confrontiamo sul modello tattico, ma mi fermo lì». Nel tempo libero gioca a tennis e cammina, «i film li odio perché è tutto fasullo, e allora leggo molto, sono un malato di archeologia». Per il calcio attuale non ha simpatia: «Non mi ci trovo, non lo riconosco. Il mio era fatto di passione, di attaccamento alla maglia. Non riesco più ad andare allo stadio: sono cambiate certe sensazioni, c’è un’atmosfera del tutto diversa».