Specchio, 14 maggio 2023
Intervista a Gilbert & George
Perché avete inaugurato il "Gilbert & George Centre" con 1999 dipinti?
«Abbiamo capito che molti pensano che il paradiso sia quello che viene dopo, e abbiamo deciso di fare il contrario, partire dai dipinti del paradiso».
Torneranno in vendita o verranno donati al centro?
«Entro un anno avremo una esposizione diversa. Alcuni verranno venduti, ma tutto il ricavato andrà alla fondazione e tutti i dipinti che appartengono a noi diventeranno parte della collezione permanente, andrà tutto alla fondazione dopo la nostra morte».
Chi ha progettato il "Gilbert & George Centre"?
«Manuel Irsara, il nipote di Gilbert, è a capo di uno studio chiamato SIRS Architects, e gli abbiamo commissionato il centro in un bel posto che avevamo comprato dieci anni fa. Volevamo mostrare la nostra arte a tutti, non soltanto di tanto in tanto nei musei, perché veniamo fermati in continuazione da giovani per strada che ci dicono quanto amano quello che facciamo, e poi ci dicono che non sono mai stati a una nostra mostra. Ora ci sarà un centro a Londra dove poter andare a vedere i nostri quadri, gratis, sempre».
Siete anche dei collezionisti, le vostre collezioni faranno parte del centro?
«Abbiamo quella che probabilmente è una delle migliori raccolte di mobili Arts and Crafts, forse la più grande collezione di vasi di Christopher Dresser e dei suoi mobili, abbiamo Philip Webb e Pugin, l’autore del parlamento, un nostro eroe. Abbiamo una collezione importante di libri per adulti».
Quante opere potete esporre nel tre piani del centro?
«30 o 40, dipende dalle dimensioni, anche 50-60 se sono più piccole».
Quanto è importante l’illuminazione?
«Deve essere la parte più moderna di qualunque galleria. Abbiamo sempre un problema con la luce perché il plexiglass crea riflessi di luce. Ci tocca fare attenzione, e calcolare anche la distanza dalla parete alle luci».
Qual è il vostro processo creativo?
«La gente crede che i quadri partano da un’idea. Non è così: se fossero idee le conosceremmo già. Noi invece vogliamo un pensiero nuovo, qualcosa che non conoscevamo prima. Questa è creatività. Quando scendiamo nello studio al mattino e vediamo i disegni fatti il giorno prima, non siamo mai in grado di ricostruire esattamente il processo, perché è stato creativo. I dipinti ci dicono quello che vogliono loro. Vogliamo che siano loro a condurci. È qualcosa di strano. Cerchiamo di permettere ai dipinti di farsi da soli, per quanto possibile».
Vi svegliate presto?
«George alle sei. Gilbert alle sette. Poi andiamo a fare colazione».
Indossate sempre abiti di tweed. Quanti ne avete?
«Tanti. Quelli più leggeri per l’estate, quelli invernali, quelli per tutti i giorni e per le occasioni speciali».
Avete sempre avuto vestiti eleganti?
«Siamo i figli del dopoguerra, noi ci vestiamo bene per cercare di avere una vita buona. Non lo facciamo per sfoggio. All’inizio dovevamo venderci alle gallerie e ai musei, poi è diventata una immagine».
Le camicie sono sempre bianche?
«Sì, camicie bianche no iron di Marks & Spencer. Crediamo che stirare sia terribile e noioso. Appendiamo le camicie ad asciugare in bagno e mandiamo gli abiti in tintoria».
E le cravatte?
«Riceviamo tanti regali, non abbiamo mai comprato una cravatta in 50 anni. Una società svizzera, Fabric Frontline, una seteria molto famosa, ci manda scatoloni di cravatte».
Le scarpe sono sempre marrone chiaro o anche nere?
«No. Quelle nere sono roba da gente della City».
Avete una cameriera?
«No. Facciamo tutto noi. Una signora viene a pulire una volta a settimana».
Cucinate?
«No. Mai».
Dove mangiate?
«Fuori, tutti i giorni, tre volte al giorno. In casa non c’è cibo, così non ingrassiamo».
Tenete della frutta?
«Sì, la compriamo al supermercato e la mangiamo al mattino mentre leggiamo il giornale».
Quale?
«Il Telegraph, ovviamente. È il più letto tra quelli colti».
Vi siete preparati per l’incoronazione?
«Tutti sono realisti, questo è il Regno Unito. Abbiamo fatto un set speciale per il re».
Glielo regalerete?
«No! Si vende. Siamo sudditi leali, non scemi».
La vostra sessualità è stata oggetto di critiche?
«Stranamente no. Abbiamo reso normale per centinaia di persone di ogni età e preferenza sessuale andare nei musei di tutto il mondo per vedere Gilbert & George».
Un artista deve essere giudicato per le sue scelte politiche e la sua vita privata?
«Ci siamo trasformati in un’opera d’arte nel 1968. Era un’idea magica: essere l’arte e parlare attraverso questa invenzione straordinaria».
Siete sempre stati molto interessati al sesso?
«Sesso, denaro, razza, religione, fanno tutti parte dell’arte. Il sesso è una parte molto importante della vita quotidiana, non volevamo ignorarla. Non abbiamo mai creduto nella storia di gay o etero, pensiamo sia una semplificazione eccessiva e stupida. Crediamo che la vita sia molto più ricca».
Come è stato vivere e lavorare insieme?
«Molto Bello. Matisse o Picasso avevano dei compagni, che però non erano dei loro pari. Noi siamo partiti come Gilbert & George, un’unica opera d’arte. Prima di venire accettati come artisti abbiamo camminato per le strade di Londra, giorno e notte. Pensavamo di essere noi l’arte, e quindi di dover stare insieme. Non abbiamo mai fatto qualcosa separatamente».
L’arte è fatta per provocare il pensiero?
«Così pensiamo. Crediamo molto nel mondo libero e molta gente non capisce che il trionfo dell’Occidente è arrivato grazie alla cultura, non grazie ai poliziotti o ai sacerdoti. È stato compiuto grazie agli scrittori e ai pensatori».